mercoledì 7 febbraio 2024
Le imprese sono il fulcro dell’economia di una nazione. Una azienda è sana, e non è a rischio di continuità aziendale, se è in grado di remunerare tutti i fattori produttivi impiegati nell’attività economica. Ovvero: il capitale investito nell’impresa, l’attività imprenditoriale, il lavoro e la pubblica amministrazione. Il capitale investito deve essere remunerato con i dividendi sugli utili o gli interessi, l’attività imprenditoriale con il profitto, il lavoro con i salari e gli stipendi, la pubblica amministrazione attraverso il pagamento equo, da parte dell’impresa, delle imposte, delle tasse e dei contributi sociali.
Avere una struttura produttiva sana e che produce profitti è un bene comune, in quanto contribuisce a far crescere la ricchezza nazionale. La tutela dell’impresa privata per qualsiasi Governo liberale dovrebbe essere un imperativo. Se le aziende vengono sottoposte a continui salassi fiscali e contributivi che ne indeboliscono la struttura, diventa controproducente per la stessa Amministrazione dello Stato. I beni in natura sono limitati, mentre i bisogni sono crescenti e illimitati. Per soddisfare i bisogni individuali le persone e le famiglie si devono necessariamente rapportare alla loro capacità di reddito. Devono stabilire quanto del reddito prodotto può essere destinato al consumo e quanto dello stesso lo possono destinare al risparmio per motivi precauzionali. Se il nostro Paese ha resistito alle crisi economiche e finanziarie che si sono succedute negli anni, è dovuto anche alla elevata propensione al risparmio, per ragioni precauzionali, degli italiani. I privati non hanno la possibilità di indebitarsi ad libitum perché possono chiedere prestiti compatibili con la loro capacità di rimborso del capitale ottenuto come finanziamento e per il pagamento degli interessi. Indebitarsi oltre misura può comportare il fallimento.
Ad alcuni specifici bisogni collettivi deve provvedere lo Stato. La Pubblica amministrazione, in un sistema economico di mercato, non può e non deve assistere i cittadini “dalla culla alla tomba”. Per far fronte alle spese collettive, indispensabili per la gestione di una Nazione, lo Stato deve necessariamente fare ricorso alla imposizione fiscale a carico dei contribuenti. L’articolo 53 della Costituzione italiana recita: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”. Ma qual è il livello di imposizione fiscale che soddisfa il principio costituzionale di cui all’art. 53? Che significa che il sistema tributario è informato alla progressività? Nell’intervista rilasciata al quotidiano Il Sole 24 Ore il direttore delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini, ha tracciato il bilancio dei risultati conseguiti dall’erario per il 2023. Nello scorso esercizio sociale, l’Agenzia delle entrate ha recuperato “24,7 miliardi di euro dalla evasione fiscale” ovvero quanto una manovra economica di bilancio dello Stato.
Soprassediamo sui metodi coercitivi adottati dall’Ente di riscossione per “recuperare” i crediti fiscali derivanti dalla “evasione fiscale”. L’Agenzia delle entrate considera il contribuente come un suddito da spremere come un limone. Difendersi da un fisco così vorace e vessatorio è diventato impossibile (altro che statuto del contribuente) in quanto vige, per l’erario, l’inversione dell’onere della prova. Non è l’Agenzia delle entrate che deve dimostrare che il contribuente abbia evaso, ma è il presunto evasore che deve dimostrare il contrario. Svolgere, in questo disgraziato Paese, una qualsiasi attività economica è diventato masochistico. Sei, in quanto imprenditore, un evasore in pectore. Lo Stato partecipa al reddito, eventualmente prodotto, come un socio di maggioranza: se non paghi, ti sequestra tutto. Il cittadino comune si chiede dove vadano a finire tutti i soldi che lo Stato incassa ogni anno. Come è possibile che nonostante il continuo aumento del gettito fiscale il debito pubblico continua a crescere? Come i beni in natura sono limitati, anche la pressione tributaria sui redditi dovrebbe essere costituzionalmente limitata. I bisogni dello Stato non possono essere crescenti e illimitati. Il succo del limone si è esaurito.
di Antonio Giuseppe Di Natale