Dimentichiamo le riforme più importanti e urgenti

giovedì 4 gennaio 2024


In modo davvero ridicolo addebitiamo i disastri legati a fenomeni metereologici, che con una sistematicità ormai annuale si abbattono sul nostro Paese. E solitamente invochiamo la parola “imprevedibili” o, peggio ancora, diamo anche dati tecnici e riferimenti metereologici davvero kafkiani, quali: “In un giorno i millimetri di acqua sono stati pari a quelli di un intero mese o di due mesi”.

Queste motivazioni le abbiamo lette non dieci volte. Io le ho contate per 42 anni di seguito anche quando i fenomeni metereologici non erano così intensi come quelli che vengono denunciati solo ora. Pochi mesi fa, in una mia nota, ricordai tre casi in cui attraverso interventi infrastrutturali adeguati siamo riusciti ad evitare il ripetersi di tali fenomeni. Siamo riusciti, cioè, ad evitare le tragedie che stiamo vivendo in questi giorni e che abbiamo vissuto sistematicamente ogni anno in passato; dei tre esempi sicuramente il più importante è quello delle vasche di compensazione realizzate in Toscana e che hanno evitato il ripetersi dell’alluvione nella città di Firenze a causa dello straripamento del fiume Arno. Ogni anno, dopo questo o questi eventi sistematici, invochiamo la parola “manca il governo del territorio”, manca la coscienza istituzionale nella realizzazione di infrastrutture adeguate, manca il controllo urbanistico dei territori e vince la incoscienza dei singoli nel realizzare residenze in aree a rischio. E ogni anno dimentichiamo che forse una delle cause di questa “irresponsabilità dell’organo istituzionale cui compete la gestione del territorio” è da ricercarsi nella articolazione assurda delle competenze. Senza dubbio una responsabilità diretta è dell’organo regionale ma, a mio avviso, quella più preoccupante alberga proprio nell’assetto istituzionale dei Ministeri competenti (ho detto dei e non del Ministero competente), perché penso che una prima riforma debba essere proprio, per le cose che dirò dopo, l’istituzione di un Dicastero unico.

Infatti, in questa interessante corsa verso le riforme, verso l’istituzione del premier eletto dai cittadini o verso l’autonomia differenziata delle Regioni, sicuramente ne dimentichiamo qualcuna. Il professor Sabino Cassese ultimamente, in suo saggio, ha ricordato che, in fondo, lo stesso Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) è assimilabile ad un processo riformatore, in quanto metodologicamente contiene precisi obiettivi e ne impone anche i relativi tempi di attuazione. In realtà, quel vincolo temporale era ed è per il nostro Paese una rilevante riforma concettuale; un Paese che non riesce a terminare la diga di Campolattaro dopo quarant’anni o per un Paese che per insipienza delle varie squadre di Governo è rimasto praticamente fermo per quasi dieci anni, lo schiaffo del Pnrr con il vincolo temporale è, a tutti gli effetti, una vera riforma.

E allora mi chiedo perché invece di inseguire riforme difficili, utili forse per testimoniare una volontà riformatrice, non affrontiamo la riforma di alcuni Ministeri che, da tempo, vivono momenti di evidente crisi funzionale? Potremmo, a mio avviso, cominciare con una riforma voluta dal Piano generale dei trasporti nel lontano 1986 e poi attuata concretamente solo nel 2001 con la unificazione di ben quattro Dicasteri: quello dei Trasporti, quello dei Lavori pubblici, quello della Marina mercantile (l’accorpamento di questi due Dicasteri era avvenuta pochi anni prima) e delle Aree urbane; nacque così il Dicastero delle Infrastrutture e dei Trasporti. Ritengo opportuno ricordare anche, per le cose che dirò dopo, che la parte residua del dicastero dei Lavori pubblici fu trasferita al Ministero dell’Ambiente, che, in virtù della Riforma Bassanini venne ri-denominato Ministero dell’Ambiente e della Tutela del territorio.

Altra riforma rilevante, sempre a cavallo tra la fine del 1990 e gli inizi del 2000, fu quella del Ministero dell’Economia e delle Finanze: un apposito decreto legislativo – il numero 300 del 1999 – trasferì al Ministero dell’Economia e delle Finanze le funzioni dei Ministeri del Tesoro, del Bilancio e programmazione economica e delle Finanze, a eccezione di quelle attribuite alle Regioni, agli Enti locali e alle Autonomie funzionali. Ci furono poi momenti particolarmente interessanti di ulteriore aggregazione dei Dicasteri. Mi riferisco all’esperienza del ministro Paolo Baratta che tra il 1995 e il 1996, durante il Governo Dini, fu ministro dell’Ambiente e dei Lavori pubblici, o del ministro Corrado Passera che tra il 2011 e il 2013, durante il Governo di Mario Monti, fu ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti e dello Sviluppo economico.

Quindi in settantotto anni di Repubblica le riforme più incisive e più consistenti sono state quella del Ministero dell’Economia e delle Finanze e quella delle Infrastrutture e dei Trasporti.

Ora penso sia utile chiedersi se l’istituzione di un Dicastero debba essere legata solo all’esigenza di creare un riferimento istituzionale per cercare di distribuire i ruoli e le funzioni all’interno di una compagine di Governo ricca di articolazioni differenti, composta, spesso, di distinti schieramenti e non legata ad un difendibile assetto funzionale. E allora, a mio avviso, nasce spontanea una proposta: se davvero l’organizzazione dell’Esecutivo, cioè del Governo, deve rispondere a una sistematica e misurabile efficienza funzionale per quale motivo non approfondiamo da subito la possibilità di dare vita a unico Dicastero dello Sviluppo organico del Paese e costruiamo un unico Dicastero formato dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, dal Ministero dell’Impresa e del Made in Italy, dal Ministero dell’Ambiente e, se necessario, da alcune parti del Ministero della Difesa. A questa scelta penso sia quasi obbligato pervenire nel breve periodo in quanto l’attuale suddivisione genera tante anomalie che di seguito provo ad elencare.

All’interno del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti c’è il Consiglio superiore dei Lavori pubblici; un consesso in cui arrivano le proposte progettuali dei vari organismi quali Regioni, Comuni, grandi Aziende come le Ferrovie dello Stato e Anas; i progetti vengono approvati tenendo conto dei pareri del Ministero dell’Ambiente; questo itinerario dimostra che in questo processo di approvazione il Ministero dell’Ambiente si caratterizza come una componente autonoma, con un ruolo critico nei confronti di un progetto che dovrebbe essere istruito e approfondito senza questo comportamento che si caratterizza come dicotoma di due fasi istruttorie fra loro spesso contrastanti;

Riporto sinteticamente le competenze del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica-Mase. L’azione del Mase è rivolta alla salvaguardia del territorio e della risorsa idrica, degli ecosistemi terrestri e marini, delle specie animali e vegetali a rischio, alla bonifica delle aree e dei corsi d’acqua, alla riduzione delle fonti di inquinamento e delle emissioni dei gas climalteranti, nel contesto della sfida del riscaldamento globale. Il Ministero garantisce la sicurezza delle infrastrutture e dei sistemi energetici e geominerari, l’approvvigionamento, l’efficienza e la competitività, la promozione delle energie rinnovabili. Promuove le buone pratiche e l’educazione ambientale, l’economia circolare, la mobilità sostenibile e la rigenerazione urbana. Il Ministero esercita il controllo analogo congiunto (con il Ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture) su Sogesid Spa; svolge, inoltre, un ruolo di indirizzo e di vigilanza sulle attività dell’Istituto superiore per la Protezione e la Ricerca ambientale (Ispra), dell’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile (Enea), del Gestore servizi energetici (Gse), di Sogin (Società gestione impianti nucleari); esercita la vigilanza sul patrimonio naturalistico nazionale in ambito terrestre e marino (parchi nazionali, aree marine protette, autorità di bacino, consorzi ambientali e di regolazione dei grandi laghi).

Non aggiungo nessuna considerazione perché penso emerga chiaramente la anomalia di un Dicastero che non può assolutamente essere esterno alle specifiche competenze dei Dicasteri dello Sviluppo economico e delle Infrastrutture e dei Trasporti. Anche due strumenti autorizzativi come la Valutazione ambientale strategica (Vas) o la Verifica di impatto ambientale (Via), di diretta competenza per le opere di rilevanza strategica nazionale del Ministero dell’Ambiente, non possono essere interpretati come occasione di confronto o, addirittura, di scontro tra due Dicasteri.

Altra competenza, forse non da togliere, al Ministero della Difesa ma da considerare come obbligato riferimento nella fase di approvazione, di realizzazione e di gestione di una opera infrastrutturale sia quella della sicurezza delle nostre reti stradali e ferroviarie e dei nostri nodi logistici; ritengo infatti quantomeno anomalo che per opere strategiche, come i valichi o come il Ponte sullo Stretto, non si debba coinvolgere in tutte le fasi proprio gli organismi competenti del Ministero della Difesa che potrebbero far parte integrante del nuovo Dicastero.

L’intervento straordinario nel Mezzogiorno ha bisogno di un Dicastero? O questa ipotesi a volte definita formalmente in qualche Governo e a volte aggregata al Ministero per la coesione territoriale e il coordinamento delle Regioni, è da abbandonare? Devo essere sincero ma, forse, istituire un apposito Dicastero per il Sud significa ghettizzare ulteriormente il Sud. Sarebbe, a mio avviso, più utile istituire un organismo all’interno, sempre del Dicastero dello Sviluppo organico del Paese prima proposto, la cui missione dovrebbe essere quella di garantire le evoluzioni e la crescita di quelle Regioni il cui Prodotto interno lordo (Pil) pro-capite è inferiore al 75 per cento della media comunitaria.

È talmente chiara e geograficamente definita a scala comunitaria questa area da non richiedere ulteriori interpretazioni: le Regioni del Paese che vivono contestualmente una simile caratteristica sono proprio le otto Regioni del Sud. Quindi potrebbe al massimo istituirsi, all’interno di questo nuovo Dicastero, un organismo simile alla ex Cassa del Mezzogiorno. Sicuramente, solo l’accenno ad una simile proposta genererà numerose critiche quali ad esempio: aggregare tre Dicasteri significa creare un Maxi-Dicastero, significa creare una aggregazione di competenze, significa concentrare il potere in un unico Ministro e, quindi, sbilanciare l’articolazione della stessa compagine di Governo. Rispondo subito a queste critiche ricordando, tra l’altro, come accennato in precedenza, che il Ministero dell’Economia e delle Finanze al suo interno aggrega, in modo trasversale, tutte le competenze di tre passati Dicasteri; tre Dicasteri che avevano competenze senza dubbio più rilevanti ed incisive di quelle dei tre Dicasteri prima scelti.

Sono sicuro che una simile riforma non solo non sarà presa in considerazione ma, addirittura, non sarà presa in considerazione perché creerebbe discrasie tra i vari ministri che attualmente sono titolari dei tre Dicasteri; questa paura dimentica però che i ministri passano, che le legislature passano, invece lo Stato e la sua funzionalità diventano la condizione essenziale per la crescita e lo sviluppo organico del Paese. Continuiamo a temere questo tipo di riforme, continuiamo ad aver paura solo di ipotizzarle e assisteremo sempre più a fenomeni quali quelli legati alla sistematica presa d’atto di eventi catastrofici come quelli in Toscana, alla lentezza nell’avanzamento delle opere, alla incapacità della spesa, alla assurda differenza tra redditi pro capite del Sud e quelli del Centro Nord. Ha ragione il professor Cassese: forse il Pnrr è una riforma salutare, che ci farà capire l’urgenza di un simile processo riformatore.

(*) Tratto dalle Stanze di Ercole


di Ercole Incalza (*)