Il fallimento dello Stato muratore

martedì 28 novembre 2023


Come gli interventi statali hanno ridotto l’offerta di case in affitto

Dai dati diffusi dall’Istat e da quelli contenuti nel terzo Osservatorio sul mercato immobiliare 2023 di Nomisma si desume una situazione del mercato immobiliare italiano che registra, da un lato, il rallentamento nelle compravendite residenziali per l’anno in corso, legato per lo più agli effetti dell’aumento dei tassi di interesse, che rischia altresì di estendersi anche al prossimo anno, e a cui si associa un modesto incremento dei relativi prezzi, con una media sulle 13 città italiane dell’1,4 per cento che spaziano dal +3,3 per cento di Milano al -1,3 per cento di Catania; dall’altro, un aumento dei canoni di locazione delle case, soprattutto in alcune città italiane. Tale aumento è dovuto all’incremento della domanda, anche quale conseguenza delle difficoltà di acquisto di una casa per il ridotto potere di acquisto delle famiglie e le difficoltà di accesso al credito derivante dall’impennata del costo del denaro. Il tutto è stato plasticamente rappresentato dall’Istituto nazionale di statistica, il quale ha rilevato nel terzo trimestre una contrazione degli atti notarili di compravendita del 5 per cento rispetto al trimestre precedente e dell’undici per cento su base annua. Andamento simile anche per i mutui, che registrano addirittura -12,6 per cento e 31 per cento su base trimestrale e annuale.

All’incremento della domanda, peraltro esponenzialmente già cresciuta nel tempo, passiamo al mercato degli affitti abitativi: ancora per Nomisma, nell’ultimo anno il 7,3 per cento della domanda si è spostato dall’acquisto all’affitto, che ha ulteriormente accentuato la pressione su un settore già saturo, a cui non è conciso però un proporzionale incremento dell’offerta, la quale è rimasta e rimane carente. Come notazione a margine, vi è da considerare che, nella domanda di locazione abitativa, alle esigenze delle famiglie vanno aggiunte quelle degli studenti universitari fuori sede, per occorrenze transitorie, turistiche o di altro genere. La carenza di offerta, che non è nuova nella storia d’Italia, è senz’altro collegata alle scelte di politica abitativa, attuate tramite l’interventismo statale che da oltre un secolo invade il settore. Innanzitutto, attraverso la zonizzazione contenuta negli strumenti urbanistici generali e particolareggiati, che esprime un tipico intervento pubblico nel processo decisionale individuale in economia e nelle iniziative private, con la quale gli apparati politico-burocratici stabiliscono dove, come e cosa è possibile costruire, controllano tipo, dimensioni e densità della popolazione negli edifici. Mediante questa pratica vengono create “zonecomunali separate per tipi di edifici: in genere residenziali, industriali, commerciali e verde. A loro volta, le stesse vengono suddivise in entità più piccole, prevedendo le tipologie di case, la densità, i diversi tipi di attività. In realtà, la zonizzazione si risolve in una riorganizzazione arbitraria dell’economia della proprietà fondiaria, che finisce per contrarre l’offerta di suoli, riducendo la loro quantità, e per provocare l’aumento dei prezzi di quelli disponibili. Costituisce inoltre un limite alle case che possono essere costruite, peraltro non dove sarebbero più economiche o ci sarebbe maggiore richiesta, bensì dove è invece imposto politicamente di costruirle, e all’offerta di esse nel mercato, in quanto agisce come qualsiasi altro calmiere o divieto.

Connessa alle problematiche urbanistiche, le cui norme riguardano il diritto di edificare, e nel cui contesto è ricompresa la zonizzazione, sono gli interventi che concernono invece l’edilizia, le quali investono il modo di esercitare il già menzionato diritto, attraverso attività finalizzate a realizzare, trasformare o demolire un edificio. La normativa del settore è molto complessa e articolata, ed è ulteriormente appesantita da pareri e circolari, prassi degli Enti locali, innumerevoli sentenze e frequenti innovazioni tecnologiche, persino imposte da direttive europee, come quelle che riguardano i materiali e le modalità costruttive e, più recentemente, quella sull’efficientamento energetico, la cosiddetta direttiva UeCase green”. Quest’ultima, adagiata su diffuse credenze, esprime una politica ambientale interventista, di stampo burocratico e socialista, che reputa l’economia di libero mercato in contraddizione con la conservazione dell’ambiente perché, favorendo più sviluppo e maggiori consumi, metterebbe sotto pressione le variabili ambientali. Il che si traduce in un approccio illiberale nei riguardi dell’urbanistica e dell’edilizia, che vengono assoggettate a controlli, restrizioni, direttive, regolamenti, divieti alla proprietà privata, agli scambi volontari e all’iniziativa imprenditoriale, rendendo davvero arduo il compito, a volte sino al punto di vanificare ogni sforzo di chi desidera realizzare o modificare una costruzione. Ovvero, è costretto a sopportare pesanti oneri e costi esorbitanti per interventi di ristrutturazione, o adeguamento degli edifici esistenti, per adeguarli agli standard imposti dall’Ue. In altre parole, chi non si adegua non può costruire, vendere, ristrutturare o affittare un immobile, privando così il mercato di una nuova offerta di case. Altro limite all’offerta, che ha contribuito e contribuisce alla sua riduzione, è dato dal controllo degli affitti. Si tratta di uno strumento potente dell’interventismo statale attraverso il quale è sottratto al mercato, e alla libertà e autonomia contrattuale delle parti, per essere affidato alla politica l’approvvigionamento degli immobili, case o negozi, mediante misure sulla durata dei contratti, il corrispettivo e, persino, in ordine all’esecuzione dei provvedimenti di rilascio, con graduazioni o sospensioni degli sfratti. Detto controllo non è mai venuto meno e accompagna la storia d’Italia sin dalla Grande guerra, quando la “necessità bellica” era stata usata come pretesto per sottrarre le locazioni urbane all’autonomia privata con lo scopo di agevolare i militari impegnati nel conflitto e assicurare loro la conservazione della casa.  Gli interventi sugli affitti, al pari di quanto è dato assumere in genere per i controlli sui prezzi di qualsiasi altro prodotto o servizio, non hanno mai fornito gli esiti attesi. Essi, al contrario, hanno addirittura prodotto, come esiti inintenzionali, risultati opposti a quelli che si proponevano i fautori, peggiorando le condizioni anziché migliorarle, soprattutto per gli inquilini, ingenuamente considerati “deboli” e, pertanto, da tutelare con una “protezione” legislativa.

Conferma di quanto appena indicato si trae pure dalla richiamata disamina di Nomisma, secondo cui la carenza nell’offerta di case non è neppure determinata dalla loro mancanza fisica. Sono infatti 3,5 milioni le famiglie multiproprietarie di cui nel 2023 solo il 24 per cento affitta la seconda casa, mentre il 51 per cento la tiene a disposizione della famiglia o di amici e parenti, l’11 per cento la lascia inutilizzata e il 33 per cento la usa come casa per le vacanze. Tutto ciò porta a considerare che se le case sono scarse, ciò è dovuto ai rischi cui possono andare incontro i proprietari nell’affittare gli immobili per i casi di morosità, per la mancata riconsegna a seguito di sfratto o risoluzione o per scadenza del contratto, o per ottenere il dovuto risarcimento, quando, ritornando in possesso del loro bene, rilevano – e non di rado – che è stato danneggiato. È evidente pertanto che, in presenza di una situazione in cui i rischi di affittare casa sono molti, i proprietari tendono, legittimamente, a lasciare sfitti i loro immobili o, in alternativa, a distaccarsi dalle forme tradizionali di affitto, orientandosi verso altre forme di affitto, quale l’affitto breve: sempre per l’istituto di ricerca bolognese, un gap di rendimento tra libero mercato e locazione breve a Milano passa dal 4,8 per cento all’8,9 per cento; a Venezia passa addirittura dal 4,4 per cento al 14,2 per cento, a Roma dal 5,7 per cento all’11,7 per cento.

Inoltre, se il mercato delle locazioni è condizionato, come già evidenziato, dai controlli, gli investitori, i proprietari di immobili e i proprietari terrieri non trovano conveniente creare nuova offerta, né sono incentivati a spendere il loro soldi per la manutenzione degli appartamenti ed evitare il deterioramento degli immobili. I costruttori, a loro volta, allarmati dai controlli sulle locazioni e sui canoni, evitano di edificare nuove unità, contribuendo così a mantenere la disponibilità di case in affitto a livelli minimi. Ulteriori limiti all’offerta di case derivano dalla pressione fiscale sugli immobili. Che è gravata da imposte di natura patrimoniale, le quali sono una peculiarità del settore (e tra le quali bisogna considerare anche le imposte di scopo), e da altri tributi: di tipo reddituale (Irpef, addizionale regionale Irpef, addizionale comunale Irpef, Ires, Irap); sui trasferimenti (imposta di  registro, Iva, imposte ipotecarie e catastali, imposta di bollo, imposta sulle successioni e sulle donazioni); legati ai servizi (tassa sui rifiuti, tributo provinciale per l’ambiente, contributi ai Consorzi di bonifica, tassa occupazione spazi pubblici).

A tutto ciò vanno poi aggiunte le varie utenze – luce, acqua, gas, nettezza urbana, passi carrai, canone Rai – nelle quali oltre la metà dell’importo è rappresentato da tasse. La dedotta pesante imposizione produce gravi conseguenze a carico delle scelte individuali e della dinamica sociale nel suo complesso. Viene impedita la realizzazione di progetti economici con l’investimento in immobili (anche per guadagnare dalla compravendita o col canone di locazione), perché l’imposizione li renderebbe infruttuosi, distolte le risorse che vengono di conseguenza convogliate verso settori decisi da politici e burocrati. A ciò si aggiunge la disincentivazione nella produzione di nuove risorse, poiché nessuno ha interesse ad agire sapendo che il risultato della sua azione gli verrà sottratto dal fisco. “Vessare la proprietà privata – ha scritto Ibn Khaldun (1332-1406) – significa uccidere negli uomini la volontà di guadagnare di più, riducendoli a temere che la spoliazione è la conclusione dei loro sforzi. Una volta privati della speranza di guadagnare, essi non si prodigheranno più. Gli attentati alla proprietà privata fanno crescere il loro avvilimento”.


di Sandro Scoppa