lunedì 20 novembre 2023
Si è svolta ad Assisi, nella Domus Pacis di Santa Maria degli Angeli, la 78ª Assemblea Generale Straordinaria della Conferenza Episcopale Italiana, che è stata aperta dall’introduzione del cardinale Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei.
In un passaggio del suo intervento, dedicato alla situazione italiana, il presule si è pure soffermato sulla “questione casa” che, a suo dire, è diventata particolarmente urgente: “Il costo di mutui e affitti – ha dichiarato – rischiano di strozzare molte famiglie che hanno lavori precari e sottopagati. Sentiamo la necessità di una politica della casa che interpella tutti. Nelle città turistiche si preferisce guadagnare trasformando gli appartamenti in B&b piuttosto che affittare a prezzi calmierati alle famiglie o a studenti fuori sede. La somma di egoismi fa perdere di vista il rapporto tra la proprietà e il bene comune, tra i beni privati e la destinazione universale dei beni”.
Ora è evidente come la politica che è stata invocata unitamente, da un lato, all’accento stigmatizzante che è stato posto sulla diversa utilizzazione che in località turistiche i proprietari farebbero dei loro immobili; dall’altro, al favor che risulta invece manifestato per gli affitti a prezzi calmierati, sottintende pretese esigenze di giustizia sociale (o distributiva), cui sarebbe collegata la necessità di rendere accessibili gli alloggi a un canone ridotto, da contenere entro determinate soglie massime. Dall’altro lato, sembra pure lasciar trasparire motivazioni politiche redistributive e, in definitiva, la vecchia idea alla base di tutte le politiche interventiste, secondo cui il patrimonio dei proprietari di casa sarebbe un fondo al quale attingere liberamente per il miglioramento delle condizioni dei meno abbienti. A tale scopo è assunto che la casa è volta a soddisfare un bisogno fondamentale dell’individuo e, pertanto, il relativo approvvigionamento non può essere lasciato al mercato ma deve essere gestito dalla politica attraverso interventi legislativi e assoggettato al controllo pubblico.
Invero, esula da siffatta impostazione la circostanza e la constatazione che le criticità che hanno investito e investono il settore in esame (per tacere anche di quelle che riguardando gli affitti di negozi e altre attività), che sono assurte a emergenze sociali ed economiche, sono state causate proprio dagli interventi statali, che hanno preso le sembianze della politica degli affitti. Questa dal declinare della Prima guerra mondiale copre una vasta area e assoggetta gli affitti delle case al regime vincolistico mediante un esteso reticolato di vincoli urbanistici, legislativi e fiscali, che hanno finito per svuotare il diritto di proprietà e la libertà di iniziativa e per esautorare il mercato, impedendo allo stesso di svolgere il proprio ruolo.
Le interferenze hanno ovviamente prodotto risultati contrari al loro scopo, e hanno peggiorato le condizioni anziché migliorarle, e ciò dal punto di vista dello Stato e di coloro che le hanno promosse e appoggiate, nonché di proprietari e di inquilini. Né sono mai servite per porre rimedio all’endemica carenza di alloggi, che si è ora persino accentuata per effetto della progressiva flessione della redditività immobiliare, la quale ha contribuito a scoraggiare gli investimenti privati nel settore dell’edilizia abitativa, deviandoli verso settori più appetibili, tra cui quelle delle locazioni turistiche, oltre che in linea con le necessità dei consumatori, e determinato inevitabilmente una ulteriore contrazione dell’offerta di locazioni. Inoltre, hanno spesso reso impossibile il salvataggio degli immobili di vetusta costruzione con adeguate opere di manutenzione o con interventi di ristrutturazione edilizia.
In realtà, la strada da percorrere appare del tutto diversa da quella invocata dal presidente della Cei e sino a ora percorsa, e porta innanzi tutto a considerare che le pretese di giustizia sociale (o distributiva) sono inconciliabili con l’ordine esteso di mercato e con il mantenimento della popolazione e della ricchezza. Conduce altresì a mettere doverosamente in conto che il mercato delle locazioni di immobili funziona esattamente come tutti gli altri mercati di beni e servizi e che l’interventismo statale, sulla produzione o sui prezzi, produce conseguenze imprevedibili e solitamente nocive. Il mercato, in effetti, è un processo di trasmissione di informazioni attraverso i prezzi che si formano al suo interno, che canalizza le attività degli individui nella direzione richiesta dai bisogni dei consumatori (inquilini), i quali con i loro acquisti o astenendosi dal comprare, determinano ciò che deve essere prodotto, in quale quantità e qualità e decretano, in ultima analisi, il successo o il fallimento degli imprenditori (proprietari/locatori).
Né si può seriamente pensare che in un mercato delle locazioni immobiliari non condizionato dall’intervento statale i proprietari abbiano “potere di mercato” ossia possano imporre la loro “forza”, dettare le condizioni ai conduttori o alzare i prezzi all’infinito, senza annullare la domanda dei loro immobili. Infatti, in un mercato libero, non assoggettato, cioè a limitazioni, soprattutto in ordine alla durata dei contratti e ai canoni di affitto che possono essere richiesti, i proprietari, spinti dalla molla del profitto, sono tenuti a fornire agli inquilini/consumatori ciò che essi domandano. La minaccia derivante dalla concorrenza intensifica la corsa a soddisfarli e fa sì che le risorse immobiliari vengano indirizzate verso gli impieghi maggiormente utili per gli stessi, sprona i medesimi proprietari a differenziarsi gli uni dagli altri, a fornire immobili migliori e più a buon mercato. In sostanza, qualcosa che attiri l’attenzione degli inquilini/consumatori e li diriga verso i beni offerti in locazione. Ogni proprietario, del resto, esercita una funzione imprenditoriale, giacché si attiva per modificare il presente e conseguire i suoi obiettivi nel futuro, non è uguale a un altro, né potrebbe esserlo, ed è proprio grazie a ciò che molti proprietari possono concorrere nel mercato. Il mercato non condizionato e la concorrenza tra proprietari favoriscono, ovviamente, gli inquilini/consumatori, aumentando le loro possibilità di scegliere tra gli immobili che vengono offerti in locazione, di orientarsi tenendo conto delle opzioni, dei servizi offerti, del miglior rapporto qualità/prezzo per le loro esigenze. A tutto ciò deve essere poi aggiunto che la concorrenza spinge i prezzi verso il basso e fa aumentare così il numero di persone che può permettersi di prendere una casa in affitto o di trasferirsi velocemente in un’altra. I proprietari e i costruttori, dal canto loro, sono incentivati a produrre nuova offerta, a offrire migliori condizioni, servizi aggiuntivi e innovativi per attirare più clienti ed espandere la loro quota di mercato, e tutto ciò produce effetti benefici per l’economia nel suo insieme.
In un mercato competitivo, e in assenza di controlli sui prezzi, questi corrispondono a un equilibrio fra domanda e offerta, per cui se la quantità di un bene o servizio richiesto è maggiore della quantità offerta si verificherà un aumento dei prezzi per eliminare la carenza (generando nuova offerta e riducendo l’importo richiesto). Ma se il mercato, come nel caso delle locazioni, è invece condizionato dai controlli, che impediscono agli affitti di raggiungere livelli di compensazione, l’effetto prima indicato non si può verificare e non può essere in alcun modo evitata la carenza. E tanto, sia perché investitori, proprietari di immobili e proprietari terrieri non trovano conveniente creare nuova offerta e mantengono così la disponibilità di case in affitto a livelli minimi, sia perché i costruttori, allarmati dai controlli sui canoni, evitano di edificare nuove unità. Oltre a ciò, si determinano altre conseguenze indesiderate, dannose per gli stessi inquilini, come la redistribuzione della ricchezza dagli attuali conduttori, che vivono in unità abitative a canone calmierato o controllato e di solito ne beneficiano, a danno di quelli futuri e di coloro che pagano affitti a prezzi più elevati, nonché il deterioramento degli immobili perché i proprietari sono meno incentivati a spendere i loro soldi per la manutenzione degli appartamenti.
Rebus sic stantibus, è dato concludere che nel settore delle locazioni di case occorre procedere attraverso una estesa e completa liberalizzazione, che ponga termine, dopo oltre un secolo, al regime vincolistico, rimuova tutti gli attuali limiti di durata, relativi alla determinazione del corrispettivo e le altre clausole penalizzanti per i proprietari, riduca drasticamente la tassazione sugli immobili e appresti un sistema di giustizia veloce ed efficace per accertare e reprimere condotte antigiuridiche e scongiurare ogni illecito e abuso.
Tenendo sempre in debita considerazione che i principi economici, diversamente dai proclami della politica, sono senza tempo. E non sono soggetti a ribaltamenti. Essi hanno insegnato e insegnano che, in un mercato privo di ostacoli, la concorrenza tra proprietari garantisce un’offerta sufficiente per soddisfare la domanda e assicurare agli inquilini/consumatori, prezzi e condizioni migliori possibili.
“Può sembrare paradossale a molte persone – ha rilevato l’economista americano Walter Block – ma il modo migliore per aiutare gli inquilini sia quello di concedere la libertà economica ai proprietari”. Al contrario, le misure di controllo degli affitti rappresentano un “autentico flagello”, tanto che praticamente tutti gli economisti ne hanno sconsigliato vivamente l’impiego, se non come decisioni eccezionali per un periodo limitato di tempo e in una condizione di emergenza: “In gran parte dell’Europa occidentale (l’interventismo sugli affitti) – ha indicato Friedrich A. von Hayek – probabilmente ha contribuito, se si esclude l’inflazione, a limitare la libertà e la prosperità più di ogni altra cosa”.
A sua volta, e molto incisivamente, l’economista svedese Assar Lindbeck, un socialdemocratico, ha denunciato: “In molti casi, accanto ai bombardamenti, il controllo degli affitti sembra essere la tecnica più efficace attualmente conosciuta per distruggere una città”, mentre il suo collega Gunnar Myrdal, membro dello Swedish Labor Party’s e Premio Nobel per l’Economia nel 1994, ha dichiarato: “Il controllo degli affitti in alcuni Paesi occidentali ha costituito, forse, il peggior esempio di pessima pianificazione da parte di governi privi di coraggio e lungimiranza”.
di Sandro Scoppa