mercoledì 15 novembre 2023
La politica finanziaria e monetaria della Banca centrale europea di Christine Lagarde ha seguito quasi acriticamente quella della Fed (Federal Reserve) anche se la posizione degli Usa e quella dell’Europa sono profondamente diverse in merito alle cause che hanno dato vita ai fenomeni inflattivi. L’inflazione si manifesta con un aumento non controllato dei prezzi e, generalmente, viene affrontata con un aumento dei tassi di interesse ma le cause possono essere diverse. Il nostro Paese ha già affrontato un’inflazione negli anni Ottanta da Paesi sudamericani, raggiungendo il 24 per cento di incremento dovuto all’inflazione scaricata dalla politica monetaria degli Usa, a seguito della cancellazione del “gold exchange standard”. Nel 1971, infatti, Richard Nixon abolì il sistema aureo del “gold exchange standard” che legava la stampa di carta moneta a una quantità definita di oro e gli accordi stabiliti nel 1944 a Bretton Woods. Fino al 1971 i rapporti di cambio delle monete erano stabili e un dollaro veniva scambiato per 645-650 lire. L’inflazione era sotto il 4 per cento e il debito pubblico era di 41mila miliardi (rappresentava il 36 per cento del Pil).
La crescita economica del Paese era sorprendente, con un Pil che superava il 10 per cento. Dopo la guerra si rinsaldava, dando vita al periodo più creativo della nostra storia. Ma gli Usa, sotto la crescita del debito dovuta alla guerra del Vietnam e alle proteste studentesche, chiusero gli accordi di Bretton Woods, creando un’onda inflazionistica devastante, procreando fittiziamente con il petrodollaro e il sistema Swift la domanda di dollari, che svalutò la lira passata a essere scambiata a 2500 lire per dollaro. Il debito si impennò, passando in dieci anni da 41mila miliardi a 234mila miliardi, dando origine a quella base per la sua costante crescita. Per fare fronte all’innalzamento del debito, il Tesoro emise Bot trimestrali al tasso del 20 per cento; si era abbattuta su di noi la tempesta perfetta ma riuscimmo a venirne fuori, grazie allo sviluppo dell’attività manifatturiera e all’economia reale. La finanza aveva da poco avviato la stampa della moneta fiat, cioè senza controvalore reale.
Oggi l’inflazione ha rialzato la testa ma con cause diverse tra Europa e Usa. Negli Stati Uniti una politica di espansione illimitata della carta stampata, unita allo sviluppo di tassi negativi sul debito, ha creato una bolla della domanda che a sua volta ha partorito l’inflazione, generando la risposta della Fed nell’alzare i tassi. Ma le condizioni di liquidità diffusa hanno dato una spinta all’azzardo morale, con investimenti e depositi sviluppatisi in un contesto irreale. Ai primi rialzi dei tassi, le aziende più indebitate sono diventate aziende zombie. La difficoltà di sviluppo degli Usa dipende dalla scarsa presenza di attività manifatturiera e di economia reale a favore di una finanza fittizia, che li sta conducendo alla depressione. Non è casuale che sia Fitch che Moody’s stanno svalutando il rating americano. In Europa la crescita dei prezzi è dovuta alla politica espansionistica della Bce che, a sua volta, ha portato i tassi di interesse in negativo, offrendo credito fiat ma non denaro reale che è una diffusione di futura ricchezza non ancora creata a cui si attinge nel presente e alle sanzioni sulle materie prime energetiche, per contrastare la Russia nella guerra in Ucraina. Questo aumento non ha toccato gli Usa, che sono indipendenti da questo punto di vista, ma ha danneggiato i Paesi europei maggiormente dipendenti dalle forniture russe. Di fronte all’aumento dei prezzi reali, la Bce ha avviato la politica di aumento dei tassi di interesse con una velocità inusuale. I maggiori interessi hanno generato maggiori costi che si sono tradotti in maggiori prezzi e quindi in maggiore inflazione. La moneta si è svalutata e si è ridotto il potere di acquisto delle remunerazioni reali. Ma, a differenza degli Usa, sono state penalizzate le aziende e la loro domanda di credito, mettendo in difficoltà le stesse, producendo una situazione paradossale di un sistema del credito che ha realizzato utili da innalzamento dei tassi come mai in precedenza. E un sistema produttivo che, data la scarsità di credito concesso, si trova alla sbarra. È saltata la cinghia di trasmissione del credito alle imprese, con riflessi negativi sulla crescita del Pil vicino all’1 per cento, sull’occupazione e sul mercato immobiliare per il costo crescente dei mutui.
Questa manovra della Bce sta strangolando l’economia reale e preparando un possibile sbocco in una fase depressiva. È ora di ripensare le politiche sbagliate della Bce e cominciare, così, a ridurre i tassi il prima possibile. Anziché pensare alle tasse sugli extraprofitti, sarebbe necessario incentivare le aziende di credito a rilasciare in una politica di collaborazione condivisa per il rilancio del Paese, da cui beneficerebbero esse stesse nel concedere credito ai settori maggiormente in difficoltà, a condizioni agevolate. È ora che la Bce torni a mettere i piedi per terra, smettendo di copiare le politiche della Fed che rispondono a un contesto economico, finanziario e politico diverso. Il problema investe in pieno la governance dell’Europa, che sta mostrando chiaramente i suoi pericolosi limiti nell’incapacità ormai decennale di avere una sua propria autonomia di pensiero e di azione. Sarebbe utile smettere di farsi trainare al guinzaglio da una guida pericolosa e attenta solo ai propri interessi.
(*) Professore emerito dell’Università Luigi Bocconi
di Fabrizio Pezzani (*)