Rete unica: non può esserci deregolamentazione senza concorrenza infrastrutturale

giovedì 12 ottobre 2023


Mentre procedono le trattative per la rete unica di telecomunicazioni, ci si comincia anche a interrogare se e come dovranno cambiare le “regole del gioco”. Sul tema è intervenuto il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Alessio Butti, responsabile del dossier, che ha affidato il suo pensiero al quotidiano Il Sole 24 Ore. In quella sede, Butti ha sostenuto la necessità di “allineare anche l’Italia al resto d’Europa, cambiando l’approccio regolamentare” applicabile alle reti in fibra e superando, in particolare, la regolamentazione dei prezzi d’accesso all’ingrosso. L’idea di fondo è che le tariffe per l’utilizzo della fibra non dovrebbero più essere stabilite dal regolatore, ma dovrebbero essere lasciate libere, in modo da riflettere la scarsità e garantire adeguata remunerazione agli investimenti, oggi più che mai necessari. Solo così, secondo Butti, sarà possibile “contenere l’utilizzo di soldi pubblici, riducendo i tempi di copertura e creando più innovazione in un settore che, come è noto, costituisce il motore dell’intero sistema economico”. A prima vista, la ricetta – deregolamentare per lasciar spazio al mercato – par fatta apposta per ingolosire i liberisti. Ma qualcosa non torna all’assaggio.

Butti sostiene correttamente che tanto nei propositi della Commissione europea, quanto nelle valutazioni concrete di molti regolatori nazionali, il controllo dei prezzi all’accesso ha gradualmente lasciato il passo a un approccio meno interventista. La regolamentazione delle tariffe di rete, infatti, era stata pensata come strumento per accompagnare la transizione dai monopoli pubblici al mercato. Questo percorso può dirsi concluso. Non solo: la coesistenza di una pluralità di modelli di business, tra cui quello degli operatori Wholesale Only (cioè che gestiscono le reti ma non vendono servizi ai consumatori finali). A differenza degli operatori verticalmente integrati, questi soggetti non hanno alcun vantaggio nell’utilizzare la rete in modo anticompetitivo, perché per loro la massimizzazione degli utili dipende dall’aumento del traffico, non dalla capacità di catturare valore nei mercati a valle (la vendita dei servizi) o impedendo l’accesso a operatori alternativi.

In astratto queste considerazioni sembrano valere anche per l’Italia. Ma il nostro Paese è da tempo al centro di un esperimento senza precedenti in Europa: superare la concorrenza infrastrutturale per costituire la rete unica (qui un’analisi dell’Ibl sull’esperienza australiana in materia). Tale progetto sembra ormai giunto al suo ultimo miglio. In questo senso, è singolare che il sottosegretario rimarchi come a breve “i due maggiori investitori nelle reti di ultima generazione in fibra” – già oggi, peraltro, pericolosamente attigui in quanto entrambi partecipati dalla Cassa depositi e prestiti – inizieranno a focalizzarsi sulla sola gestione dell’infrastruttura. Il problema è che, se la rete unica andrà avanti, di operatore ne resterà soltanto uno. Prescindere da questa consapevolezza mina la proposta alla radice.

Lo afferma, del resto, la stessa Gigabit Recommendation della Commissione europea, invocata da Butti a sostegno del proprio ragionamento. Se è vero che il provvedimento promuove l’archiviazione dei vincoli sui prezzi all’accesso, non va dimenticato che questa scelta presuppone un adeguato contesto di mercato: come si legge nel considerando (25), i regolatori nazionali devono allentare la regolamentazione di prezzo solo a patto che la concorrenza sia sufficientemente tutelata, per evitare che la libertà tariffaria si traduca in prezzi eccessivi o altri abusi nei mercati caratterizzati da potere di mercato. In altri termini: quanto più si spinge verso la rete unica, tanto più bisogna rafforzare la regolamentazione; viceversa, proprio la concorrenza infrastrutturale ha posto le basi per “applicare la flessibilità dei prezzi su una scala molto maggiore rispetto a quanto fatto finora”. Il Governo ha ribadito nella Nadef il progetto “di acquisire partecipazioni strategiche in settori chiave per la modernizzazione e digitalizzazione della nostra economia, quali le reti di telecomunicazione, nonché di adottare politiche innovative per lo sviluppo delle infrastrutture”. La proposta di deregolamentazione sarebbe un’ottima idea, se solo non significasse sciogliere le mani al monopolista pubblico che sta per essere ricostituito.


di Istituto Bruno Leoni