Crescono i tassi d’interesse, ma non il Pil

martedì 26 settembre 2023


A luglio 2022, la Banca centrale europea ha annunciato il primo rialzo dei tassi d’interesse dopo anni di politiche monetarie espansive. Da quel momento, la linea di Christine Lagarde e del Consiglio direttivo della Bce è rimasta rigidamente fedele al mandato di Francoforte, che consiste nel portare l’inflazione intorno al 2 per cento anche aumentando di molto il costo del denaro, se necessario. Cosa che è avvenuta ripetutamente da allora, per un ammontare totale di quattro punti percentuali. Le decisioni della Bce sono state in linea con quelle di molte banche centrali occidentali, con l’eccezione dell’ultimo aumento stabilito a settembre 2023. Alzare i tassi ha generato effetti rilevanti per l’economia europea e italiana. L’inflazione sta rallentando, anche se i prezzi non crescono più lentamente per tutti i prodotti. Purtroppo, anche il Prodotto interno lordo (Pil) non aumenta significativamente. Le conseguenze della crescita del costo del denaro si riscontrano anche nella vita quotidiana.

Tra gli effetti più direttamente percepibili rientrano i costi più elevati per accedere al credito. Sono diventati più onerosi i finanziamenti tanto per gli acquisti di prodotti a rate, quanto per i mutui. La Federazione autonoma dei bancari italiani (Fabi) ha stimato che i costi per ripagare un mutuo a tasso variabile sono aumentati fino al 70 per cento in un anno, causando difficoltà importanti per le famiglie, in particolare per quelle che percepiscono redditi più bassi. Chi, invece, volesse accendere oggi un mutuo, ad esempio per comprare casa, dovrebbe pagare circa il doppio degli interessi rispetto a chi l’ha fatto un anno fa, indipendentemente dal fatto che il tasso concordato sia fisso o variabile. Se negli anni passati le banche italiane erano già restie a concedere liquidità a clienti che non disponessero di patrimoni consistenti a causa dell’elevato ammontare di crediti deteriorati (ossia non riscossi per incapienza dei debitori) che pesavano sui loro bilanci, ora per chi volesse chiedere un finanziamento la situazione è ancora più difficile.

Nel primo semestre del 2023, infatti, le richieste di mutui si sono ridotte di quasi un quarto rispetto allo stesso periodo del 2022. Anche le imprese devono sostenere un costo maggiore per accedere alla liquidità, ma le richieste di finanziamenti da parte loro non sono diminuite in modo considerevole, in quanto questi sono necessari a garantire la continuità delle attività economiche che svolgono. Pur non essendo diminuita la domanda di denaro delle aziende, se non lievemente, molte non possono più accedere al sistema creditizio, sempre come conseguenza dell’aumento dei tassi d’interesse. Questo comporta che alcune attività imprenditoriali potranno avere più difficoltà non soltanto a crescere ma anche a rimanere in piedi. Questo vale soprattutto per le Piccole e medie imprese (Pmi), che costituiscono la spina dorsale dell’economia italiana. Il rialzo dei tassi d’interesse è un esempio di come disquisizioni economiche all’apparenza puramente tecniche abbiano ripercussioni concrete sulla vita di tutti i giorni.


di Riccardo Cantadori