Irpef al 23 per cento fino a 28mila euro

martedì 19 settembre 2023


Il governo vuole evitare che l’attuale sistema a quattro aliquote vanifichi i benefici del taglio del cuneo fiscale. Per queste ragioni, si vogliono accorpare i primi due scaglioni Irpef ed estendere l’aliquota più bassa, quella al 23 per cento, ai redditi fino a 28mila euro. Pare tramontata l’ipotesi che parta già da quest’anno la detassazione delle tredicesime. A fare il punto sul lavoro del governo in vista della prossima Legge di Bilancio è il viceministro dell’Economia Maurizio Leo, che lavora in prima linea sul dossier fisco. Sul suo tavolo entro domani sono attese le proposte degli esperti per mettere a punto i primi schemi di decreti attuativi della riforma fiscale: si tratta del lavoro compiuto in circa un mese e mezzo dalle 13 commissioni che hanno lavorato sulle diverse tematiche, dalla fiscalità internazionale ai vari tributi. E il viceministro ha già promesso entro fine mese un testo per far entrare in vigore dal primo gennaio 2024 alcune norme. Le prime a partire saranno quelle che non richiedono risorse, mentre per il resto si attende di capire il quadro della Nadef. In attesa di questo verdetto, sulla riforma dell’Irpef le idee però sono chiare.

“L’obiettivo è accorpare i primi due scaglioni in un unico scaglione con un’aliquota al 23 per cento”, sottolinea Leo. La necessità, spiega il viceministro, è evitare che i soldi in arrivo dal taglio del cuneo fiscale, che il governo punta a prorogare “per tutto l’anno”, vengano erosi dall’attuale meccanismo a quattro aliquote. L’ostacolo però è determinato dalle risorse: per il taglio del cuneo unito all’accorpamento dei primi due scaglioni Irpef servono almeno “14 miliardi”. Sembra invece già rimandato al prossimo anno il promesso intervento sulle tredicesime: anche qui si attende la Nadef, ma il viceministro vede “abbastanza complesso trovare le risorse” per le tredicesime del 2023. A preoccupare il governo in vista della definizione della manovra è l’intero quadro dei conti pubblici. “La situazione è abbastanza complessa”, ammette Leo, ricordando “il fardello del Superbonus”, che pesa per “circa 100 miliardi sulle spalle” dell’Erario.

Si attende di capire da Eurostat se “comporterà un impegno di competenza del 2023, ma in ogni caso ci sarà un effetto finanziario nel 2024”, avverte il viceministro. Secondo indiscrezioni di stampa, qualche spazio fiscale potrebbe arrivare dalla revisione del Pil annunciata per venerdì dall’Istat: l’Istituto di Statistica renderà nota la revisione delle stime annuali dei conti nazionali del 2020-2022 e anticipa per il Pil 2021 “una revisione al rialzo del livello compresa tra 1,8 e 2,1 per cento rispetto alle stime diffuse il primo marzo 2023 e, conseguentemente, un rialzo del tasso di crescita del medesimo anno”. Il primo marzo era stata ricalcolata una crescita per il 2021 del 7 per cento, seguita dal +3,7 per cento del 2022. Numeri positivi che potrebbero avere un effetto trascinamento anche sugli anni successivi ma che, viene spiegato, elementi negativi come il Superbonus e il rallentamento della crescita rischiano di annullare la quasi totalità dell’effetto positivo. Per questi motivi, la linea del Mef resta improntata alla massima prudenza.


di Redazione