Ambiente: la cattura e lo stoccaggio della Co2 nei settori “hard to abate”

lunedì 11 settembre 2023


In Italia, i settori produttivi “hard to abate” generano 94 miliardi di euro di valore aggiunto e 1,25 milioni di posti di lavoro, emettendo 63,7 milioni di tonnellate di Co2 all’anno. Ci riferiamo ai settori della siderurgia, della raffinazione del petrolio, della chimica, del cemento, della ceramica, della carta, del vetro e della produzione alimentare che hanno un peso rilevante nell’economia.

Negli ultimi anni diverse imprese italiane hanno deciso di investire in processi tecnologici innovativi per il raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione (emissioni zero), così come previsto dai programmi “green” dell’Ue e dell’Agenda globale Onu. La cattura e lo stoccaggio della Co2 è una di queste soluzioni strategiche per ridurre le emissioni delle industrie “hard to abate”, salvaguardando così la sopravvivenza e competitività di importanti settori economici  e coniugando, nello stesso tempo, obiettivi di sostenibilità ambientale, sociale e industriale.

Ma vediamo meglio come funziona questa tecnologia. La cattura e lo stoccaggio del carbonio (Carbon capture and storage, Ccs) hanno lo scopo di togliere dall’atmosfera l’anidride carbonica prodotta da industrie e centrali elettriche e di depositarla nei giacimenti (sotterranei) esauriti di petrolio e gas. L’esperienza ventennale di stoccaggio nei siti al largo delle coste norvegesi e quella più recente nei siti offshore di Canada e Stati Uniti ne sono una dimostrazione con ottimi risultati in termini di sicurezza, efficienza e sostenibilità. In Europa, la direttiva Ue sullo stoccaggio di Co2 del 2009 prevede una serie di regolamenti e di requisiti chiari per l’individuazione di siti di stoccaggio adeguati e per la garanzia della sicurezza delle operazioni successive. Diversi studi hanno dimostrato che la Co2 può essere stoccata in modo sicuro nel sottosuolo (grazie a una serie di fattori geologici e geochimici) per migliaia di anni, basandosi sulle evidenze dei diversi bacini di Co2 naturali esistenti da milioni di anni.

Un recente studio – “Carbon capture and storage” – del Forum Ambrosetti di Cernobbio ha evidenziato l’importanza strategica del primo impianto italiano (e del sud Europa) progettato dalla joint venture Eni-Snam, che consiste nell’utilizzo delle condotte di Snam per convogliare la Co2 in un’unica rete di raccolta, per poi comprimerla e stoccarla nei giacimenti privi di gas metano di Eni al largo di Ravenna. L’hub romagnolo consentirà (una volta in funzione) di evitare 16 milioni di tonnellate di Co2 all’anno, di stoccarne una grande quantità e di sviluppare una nuova filiera specializzata a livello nazionale, generando un valore aggiunto (aggiuntivo) di 30 miliardi di euro entro il 2050, oltre a buone opportunità di occupazione.

Intere aree industriali potranno, insomma, diventare protagoniste del percorso verso la decarbonizzazione, conciliando gli obiettivi di riduzione delle emissioni e della tutela della salute pubblica con la continuità operativa e la competitività. Una “giusta” transizione energetica che non lascia indietro nessuno: le imprese, i lavoratori e le comunità territoriali, motori indispensabili per la crescita economica e sociale del Paese.

(*) Presidente di Ripensiamo Roma


di Donato Bonanni (*)