Una proposta del Governo contro l’inflazione

venerdì 4 agosto 2023


L’inflazione ha eroso il potere d’acquisto dei cittadini europei, svalutato i risparmi sui conti correnti e colpito soprattutto chi riceve entrate fisse, come i dipendenti e i pensionati. Difficilmente i prezzi torneranno ai livelli pre-Covid, quindi a doversi adattare sono i redditi, che devono salire. Nella teoria questo è un concetto facilmente condivisibile, se non scontato, ma la realtà è più complessa ed è fondamentale agire in modo ponderato. Il primo dato con il quale bisogna fare i conti è che nell’ultimo anno, in Italia, i salari nominali sono aumentati dell’1,6 per cento, mentre quelli reali hanno subito una riduzione del 7,3 per cento. In altri termini, si è registrata una crescita nell’ammontare della busta paga media alla quale, tuttavia, corrisponde una contrazione della capacità di spesa.

Questo elemento pare avvalorare l’ipotesi di incrementare le retribuzioni sino al ripristino del potere d’acquisto precedente all’inizio della spinta inflazionistica che sta preoccupando famiglie, governi e banche centrali. D’altra parte, a un aumento degli stipendi pagati dalle imprese ai dipendenti seguirebbe un probabile innalzamento dei prezzi dei beni di consumo tale da non erodere i margini di guadagno, generando un ulteriore aumento dell’inflazione. Questo circolo vizioso viene definito in economia “spirale prezzi-salari-prezzi”.

Al tempo stesso, bloccare gli stipendi per timore di stimolare l’inflazione sarebbe una scelta politicamente impraticabile a causa degli elevati costi sociali causati dall’aumento dei prezzi. Tale problematica in Italia verrebbe aggravata dalla variazione pressocché nulla dei salari che si è registrata negli ultimi vent’anni. Nel mese di luglio, la presidente della Banca centrale europea Christine Lagarde si è espressa a favore di un aumento salariale accompagnato da una corrispondente riduzione dei margini di profitto delle imprese. Tale soluzione può essere auspicabile a livello europeo, ma nel caso italiano incontrerebbe delle difficoltà aggiuntive a causa dell’incremento della produttività limitato, e talvolta negativo, che ha caratterizzato l’economia nazionale degli ultimi anni.

Una proposta del Governo per contenere l’aumento dei prezzi, in particolare quelli relativi ai prodotti di largo consumo, consiste nel cosiddetto “bollino anti-inflazione” annunciato dal ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso. Tale iniziativa consiste nella calmierazione di una vasta gamma di beni venduti sia da catene della grande distribuzione, sia da piccoli esercenti aderenti al progetto, sui quali verrà apposto un “bollino di Stato” per certificarne il prezzo anti-inflazionistico. L’accordo tra il governo e i venditori sarà attivo nel corso dell’ultimo trimestre del 2023, con la possibilità di prorogarlo per il 2024 nel caso in cui i risultati verranno considerati soddisfacenti. Una politica analoga è stata promossa dal governo francese inizialmente per un periodo di tre mesi con scadenza a giugno, poi prolungato di altre tre mensilità. L’iniziativa proposta dal Governo italiano è stata commentata positivamente dalla Codacons, che ha auspicato un’elevata adesione tra i negozi, e dall’Adoc. Il ministro Urso ha parlato di “una grande campagna contro l’inflazione, per venire incontro ai consumatori, soprattutto quelli che ne hanno subito l’impatto maggiore”, ossia chi percepisce redditi bassi o nulli.


di Riccardo Cantadori