Btp, ritorno di fiamma

lunedì 19 giugno 2023


Prima della regolamentazione dei fondi comuni d’investimento mobiliare aperti (Legge 12 marzo 1983 n. 77), i risparmiatori italiani venivano definiti Bot people (risparmiatori che si affidano ai Buoni ordinari del tesoro).

L’investimento in titoli di credito del debito pubblico italiano di breve durata (3-6-12 mesi) era l’investimento preferito dal cassettista italiano, in quanto considerato sicuro e con buona remunerazione. I risparmiatori con una maggiore consapevolezza finanziaria e con bassa propensione al rischio sceglievano i Cct (Certificati di credito del tesoro), titoli a reddito variabile e con scadenza media (3-5 anni), la cui remunerazione variava, dopo la prima cedola semestrale, in funzione dell’inflazione e dei tassi d’interesse. I Btp (Buoni del tesoro poliennali) erano appannaggio dei risparmiatori con una maggiore propensione al rischio, in quanto titoli a lunga scadenza e con remunerazione a tasso fisso. I Btp sono le obbligazioni di Stato più esposte al rialzo dei tassi d’interesse. Il loro valore subisce delle variazioni sul capitale investito.

All’aumentare dei tassi di interesse corrisponde una riduzione del valore di quotazione e viceversa. Sono pertanto valori mobiliari più soggetti a speculazione. All’Italia, dal 1986 fino al 1991, nonostante avesse un debito pubblico prossimo al 100 per cento del Pil, le agenzie di rating internazionali assegnavano la tripla A, ovvero il massimo voto di affidabilità creditizia. Tra il 1991 e 1993 il voto assegnato ai titoli pubblici italiani era sceso di un solo punto: AA+. Con la sottoscrizione del Trattato di Maastricht, firmato il 7 febbraio 1992 ed entrato in vigore il 1° novembre 1993, inizia il declino della presunta riduzione dell’indice di affidabilità creditizia del nostro debito sovrano, fino ad arrivare a un voto di solo BBB. La sottoscrizione del trattato era l’atto propedeutico alla perdita della sovranità monetaria. Prima di arrivare alla moneta unica (Euro), la Comunità economica europea aveva un sistema di pagamenti semi-variabile basato su quello che era denominato “serpente monetario europeo”. Le monete dei singoli Paesi potevano oscillare entro limitati parametri.

Se una moneta superava la banda di oscillazione prestabilita, si procedeva alla svalutazione della moneta rispetto alle monete considerate più forti come il marco tedesco. Esisteva una moneta virtuale, l’Ecu (European currenc unit), il cui valore era determinato dalla media aritmetica ponderata delle valute europee aderenti al sistema di pagamenti. L’Euro ha sostituito la Lira e la Bce ha sostituito la Banca d’Italia come istituto di emissione della moneta di conto. L’Italia perde così l’autonomia monetaria e la sua banca centrale come creditrice di ultima istanza. La nostra nazione, da Paese molto affidabile, con l’introduzione dell’Euro diventa uno Stato a sovranità limitata. Eppure, nella storia, il Bel paese ha sempre onorato i propri debiti. Da qualche anno, anche per il fatto che molti risparmiatori hanno subito perdite significative sui propri investimenti in Borsa e su titoli tossici venduti da società di gestione del risparmio, gli italiani stanno ritornando ai vecchi e sicuri titoli di Stato.

L’effetto del ritorno dei risparmiatori italiani all’acquisto dei titoli del nostro debito sovrano sta progressivamente riducendo la quota di debito italiano in mano agli investitori stranieri. Oggi, circa il 20 per cento del debito italiano è in mano agli investitori esteri. Se i risparmiatori continueranno ad avere fiducia nello Stato Italiano, lo spread continuerà a scendere a livelli compatibili con la forza economica della settima potenza industriale del mondo. La prudenza del Governo nella gestione delle finanze pubbliche e il minor debito in mano straniera aumentano il grado di autonomia del nostro esecutivo. Un plauso al ritorno dei Bot People, veri patrioti!


di Antonio Giuseppe Di Natale