mercoledì 24 maggio 2023
Non molto tempo fa abbiamo potuto leggere su tanti organi di stampa il seguente comunicato: “Sono stati aperti ufficialmente i cantieri di un’opera destinata ad incidere profondamente sul futuro della logistica al servizio del porto di Livorno: lo scavalco ferroviario tra il porto di Livorno e l’interporto di Collesalvetti (area Guasticce) che sorge a 6 chilometri di distanza nell’entroterra. L’opera permetterà di superare l’ostacolo della linea ferroviaria storica Genova-Roma, che da sempre costituisce una barriera tra il porto e l’interporto. Si tratta in pratica di realizzare un collegamento ferroviario diretto per i treni merci, attraverso una linea a singolo binario tra i due poli logistici. L’opera infrastrutturale è attesa da molti anni perché concorrerà a rendere lo scalo marittimo di Livorno uno dei più competitivi del Paese”.
Sempre nei vari comunicati si precisa che l’opera consentirà ai container e ai semirimorchi che vengono scaricati nel porto dalle navi di essere trasportati via treno fino ai mercati del Nord Europa, senza dover subire il cambiamento del mezzo di trasporto. Il comunicato stampa, penso per un senso di correttezza mediatica, parla di un’opera attesa da molti anni. Purtroppo, per le cose che dirò dopo, l’attesa è durata quasi trentasette anni. Ora vi racconto quando era stato deciso questo intervento e quanto sia costato non averlo realizzato prima. Nel primo aggiornamento del Piano generale dei trasporti venivano indicati solo sette nodi interportuali e questo avveniva nel 1990; in tale anno veniva anche varata la Legge 240/1990 che, all’articolo 9, garantiva apposite risorse finanziarie.
Faccio presente che il porto di Livorno ha movimentato nel 2022 circa 468mila Teu (container da 20 piedi) e questo dato, con alti e bassi, si è ripetuto sin dagli anni Settanta. Il vero problema è che questo dato rilevante è stato sempre penalizzato dall’assenza di un collegamento funzionale con un impianto interportuale capace di canalizzare questa ricchezza sulla rete ferroviaria italiana ed europea. Ora, se si considera che ogni Teu movimentato lascia nel centro di interscambio un valore di circa 140 euro, si evince che annualmente l’Hub logistico di Guasticce ha perso mediamente 90-100 milioni di euro. Quindi dal 1990 a oggi ha perso un valore globale di 3,3 miliardi di euro. Si è persa questa reale e misurabile fonte di ricchezza perché mancava un collegamento funzionale tra porto ed interporto lungo solo 1.580 metri. È incredibile ma vero.
Ma a questo storico fallimento di una scelta strategica del Centro del Paese fanno seguito subito due altri casi davvero gravi, perché ubicati nel Mezzogiorno, quindi responsabili della mancata crescita di una realtà già critica. Mi riferisco al porto canale di Cagliari ed al porto di Augusta.
Negli anni Settanta la Cassa del Mezzogiorno, attraverso il Consorzio Siaca del gruppo Iri, promosse la realizzazione del porto canale di Cagliari e il Governo ne garantì la copertura. Agli inizi degli anni Ottanta tale impianto logistico diventò operativo. La sua funzione doveva essere essenzialmente quella di transhipment e la sua posizione era davvero vincente: si trovava al centro del Mediterraneo e a circa 56 miglia dalla rotta Suez-Gibilterra.
Sin dall’inizio era stato concepito come terminal container per lo smistamento del traffico destinato ai principali porti del Mediterraneo occidentale come Marsiglia, Genova, Napoli e Barcellona. Ma non si è riusciti, in oltre quarant’anni, a dare consistenza funzionale a questa forte rendita di posizione. Nel 2019 il gruppo Contship Italia, azionista unico di Porto Industriale di Cagliari Spa, concessionaria del terminal container, ha deciso di sospendere le proprie operazioni e di procedere alla liquidazione volontaria dell’impresa controllata e finora non è stato trovato un nuovo concessionario. È evidente che di fronte ad una ubicazione così strategica è mancata un’azione mirata da parte dello Stato.
Anche in questo caso si rimane sconcertati di fronte alla mancata attuazione di quanto programmato ed attuato, ripeto, 40 anni fa. Il porto avrebbe potuto movimentare oltre un milione di Teu e avrebbe così garantito un valore globale di circa 6 miliardi di euro. Invece, i governi che si sono succeduti in tanti anni hanno sottovalutato questa evidente ricchezza.
Sempre negli anni Settanta la Cassa del Mezzogiorno, attraverso il Consorzio Tapso del gruppo Iri, promosse la realizzazione dei collegamenti funzionali con l’area industriale di Siracusa, in particolare nei territori di Priolo e di Augusta. In realtà, in quegli anni il Governo intendeva rilanciare al massimo il ruolo strategico del polo petrolchimico e, al tempo stesso, costruire le condizioni per la realizzazione di un Hub logistico portuale ed interportuale nell’intorno del porto di Augusta. Va precisato che le finalità di un simile Hub non erano quelle legate alla canalizzazione dei container verso il Continente e ciò sia perché non vi era il collegamento stabile dello Stretto, sia perché lo stato dell’offerta stradale e ferroviaria non rendevano conveniente un itinerario così lungo. La realizzazione dell’Hub logistico era finalizzata alla trasformazione dei prodotti, anche alla luce della presenza di impianti capaci di assicurare energia a costi non elevati.
In questo caso, le responsabilità del fallimento di una simile iniziativa sono sia dell’organo centrale che dell’organo regionale. Errori che si sono ulteriormente amplificati negli ultimi anni, sì proprio durante la passata Legislatura in cui il porto di Augusta è praticamente rimasto fermo e ha parzialmente utilizzato investimenti assegnati nel 2005. Anche in questo caso, la Sicilia ha perso un rilevante volano di risorse e, soprattutto, ha praticamente spento la funzione di un Hun all’interno dell’intero Mediterraneo. Tre esperienze, due nel Sud ed una nel Centro del Paese che, ancora una volta, testimoniano quanto sia pericolosa la insipienza di chi è preposto alla gestione del Paese e quanto un simile comportamento causi un misurabile danno alla crescita ed allo sviluppo dell’intero Paese.
(*) Tratto dalle Stanze di Ercole
di Ercole Incalza (*)