Le utopie di quarant’anni fa stanno diventando realtà

giovedì 4 maggio 2023


Dovendo prima o poi affrontare la definizione di atti programmatici a medio e lungo termine non possiamo non fare riferimento a quanto riportato, giorni fa, sull’esperienza vissuta negli anni Ottanta in occasione del Piano generale dei trasporti e questo approfondimento ha solo un scopo: dimostrare come quelle scelte, quelle proposte formulate quarant’anni fa fossero considerate utopiche e come invece si sono rivelate fondamentali per la crescita e lo viluppo del Paese. Rileggiamo, quindi, in modo sintetico, le varie decisioni e convinciamoci, una volta per tutte, che spesso ciò che riteniamo utopico forse è solo un atto di apprezzabile lungimiranza. Ebbene, in quella occasione si decise di realizzare almeno quattro nuovi valichi ferroviari:

1) Il nuovo tunnel ferroviario Torino-Lione (la galleria lunga circa 55 chilometri).

2) Il nuovo tunnel ferroviario Terzo Valico dei Giovi (tratto in galleria lungo 37 chilometri) collegato sia con il San Gottardo che con il Sempione.

3) Il nuovo tunnel ferroviario del Gottardo (lungo 55 chilometri).

4) Il nuovo tunnel ferroviario del Brennero (lungo oltre 56 chilometri).

Quattro nuovi valichi solo ferroviari perché si voleva, con la massima, ridare funzione e ruolo alla offerta ferroviaria che aveva raggiunto, soprattutto per le merci, livelli bassissimi in termini di movimentazione (in Italia era passata dal 20 per cento degli anni Sessanta ad appena il 7 per cento dei primi anni Ottanta e negli altri Paesi dell’Unione europea l’utilizzo delle ferrovie per la movimentazione delle merci era passato dal 25- 28 per cento al 12 per cento. Ma questa esigenza di corridoi ferroviari attraverso l’arco alpino era finalizzata anche a rendere possibile una osmosi tra il nostro Paese e l’intera Europa centrale e tra l’Europa centrale e il Mediterraneo. Questo scenario, insisto, conteneva quattro opere la cui caratteristica ingegneristica era utopica (la galleria ferroviaria più lunga era di 19 chilometri lungo l’asse Firenze-Bologna), la cui dimensione finanziaria era utopica e l’interesse comunitario per simili proposte era relativo. Ricordo che all’epoca l’Unione europea era composta da solo 12 Paesi (tra questi non c’era neppure l’Austria).

Realizzare almeno mille nuovi chilometri di rete ferroviaria ad alta velocità; cioè realizzare la famosa T: Torino-Milano-Venezia e Milano-Bologna-Roma-Napoli. Anche questa proposta programmatica perseguiva l’obiettivo di trasferire domanda di trasporto dalla strada alla ferrovia ed offriva collegamenti, tra grandi realtà urbane, davvero all’epoca inimmaginabili. Ricordo che, per andare da Roma a Milano, si impiegavano circa sette ore e da Bologna a Roma quattro ore. Anche questa proposta era ricca di risvolti utopici sia per l’attraversamento di aree altamente urbanizzate (ricordo, tra l’altro, che la approvazione dei progetti avveniva con la Conferenza dei servizi che si concludeva solo con il voto unanime), sia per le caratteristiche orografiche come l’attraversamento dell’Appennino; a tale proposito ricordo che il tratto Firenze-Bologna dell’alta velocità ha una galleria lunga complessivamente circa 97 chilometri.

Realizzare almeno otto impianti interportuali (ritengo opportuno ricordare che nel 1984, cioè all’inizio dei lavori del Piano generale dei trasporti in Italia non si sapeva cosa fossero gli interporti. Esisteva solo un impianto di stoccaggio materiali della Fiat a Rivalta Scrivia. Si identificarono così gli interporti di Orbassano, La Chiarella, Verona Quadrante Europa, Padova, Bologna, Parma, Guasticce, Nola-Marcianise. Anche questo era uno scenario utopico perché all’epoca la intermodalità e quindi il trasferimento delle merci dalla ferrovia alla gomma e dalla gomma alla ferrovia per una serie di motivi era utilizzato pochissimo. Passare da un numero di porti davvero preoccupante, cioè 46, a soli sette “sistemi portuali”, cioè a sette realtà capaci di ottimizzare al massimo la funzione di nodi in cui movimentare oltre l’80 per cento di tutto ciò che entra o esce, in termini di filiere merceologiche, dal Paese. Anche in questo caso si dava concretezza ad una proposta utopica perché non condivisa da vari schieramenti politici che vedevano ridimensionare il ruolo di impianti portuali inutili per il loro ruolo logistico, utili però per l’incidenza nel governo del territorio.

Identificare solo dodici aree metropolitane precisando che queste realtà non potevano continuare ad esistere senza una offerta di trasporto adeguata, cioè senza il ricorso a reti di trasporto metropolitano. All’inizio del 1980 il nostro Paese disponeva solo di 36 chilometri di linee metropolitane e di circa 3.500 chilometri di reti ferroviarie secondarie gravitanti nell’intorno delle aree urbane. L’obiettivo era quello di garantire adeguate risorse per realizzare nuove reti metropolitane e al tempo stesso recuperare le ferrovie secondarie. Con apposite leggi, tra cui sia la Legge 443/2001 (Legge Obiettivo) che la 910/1986 si è riusciti a realizzare circa 300 chilometri di reti metropolitane e rendere funzionali circa 2.400 chilometri delle ferrovie secondarie.

 

Definire due Hub aeroportuali strategici come quello di Milano con Malpensa e Linate e Roma con Fiumicino e Ciampino; scelta anche questa utopica perché nei primi anni Ottanta non si nutriva grande fiducia nella crescita di aeroporti come Bergamo, Venezia, Bologna, Napoli, Lamezia, Catania e quindi il confronto fra le realtà locali portò verso una scelta che, nel tempo, abbiamo criticato ma che all’epoca rappresentava un compromesso sicuramente non facile. Identificare una rete ferroviaria e stradale per offrire al Mezzogiorno le condizioni per essere davvero integrato con il sistema Paese e, in questa non facile operazione, realizzare gli assi autostradali Palermo-Messina-Catania-Siracusa e Salerno-Reggio Calabria, nonché realizzando, come condizione obbligata, il collegamento stabile sia stradale che ferroviario tra la Sicilia e il continente.

Riformare, almeno per quanto concerne la componente legata alla gestione della offerta trasportistica, la Pubblica amministrazione costruendo un unico dicastero delle Infrastrutture e dei Trasporti al cui interno inserire il Ministero dei Lavori pubblici, il Ministero dei Trasporti, il Ministero della Marina mercantile e il Ministero delle Aree urbane. Ma accanto a questa grande intuizione se ne aggiunsero altre ancora più incisive come la trasformazione delle Ferrovie dello Stato e dell’Anas da aziende di Stato prima in Enti pubblici economici e poi in SpA. Si passava così da organismi di cui non conoscevamo i bilanci ed in cui i rispettivi ministri erano anche Presidenti a organismi trasparenti. Infine si proposero due ulteriori innovazioni: il Cipet (cioè un Comitato interministeriale per la Programmazione economica dei trasporti) e il Fondo unico dei trasporti (cioè un capitolo di spesa in cui far convergere tutte le risorse destinate al comparto. Queste due, senza dubbio, rivoluzionarie proposte durarono solo un anno e mezzo perché forse erano troppo rivoluzionarie.

Come detto nel titolo molte di queste intuizioni sono state realizzate o si stanno realizzando ed è vero che si stanno realizzando dopo quaranta anni, non possiamo però dimenticare che furono concepite e ritenute utopiche quarant’anni fa. Dopo, ammettiamolo, non abbiamo avuto il coraggio e la capacità di disegnare scenari a medio e lungo termine. La verità forse è legata al nostro naturale egoismo: ci interessa solo ciò che possiamo verificare e misurare nel brevissimo periodo; un egoismo che ormai da molti anni caratterizza chi gestisce la cosa pubblica.

(*) Tratto da Le Stanze di Ercole


di Ercole Incalza (*)