Coldiretti: in Italia addio a una pianta da frutto su cinque

mercoledì 3 maggio 2023


“È necessario che tutti i prodotti che entrano nei confini nazionali ed europei rispettino gli stessi criteri, garantendo che dietro gli alimenti, italiani e stranieri, in vendita sugli scaffali ci sia un analogo percorso di qualità che riguarda l’ambiente, il lavoro e la salute, secondo il principio di reciprocità”.

Così il presidente della Coldiretti, Ettore Prandini, che aggiunge: “L’export di frutta fresca vale 3,8 miliardi che potrebbero aumentare, se si riuscisse a superare il gap logistico e infrastrutturale con le opportunità offerte dal Pnrr per garantire trasporti efficienti sulla linea ferroviaria e snodi aeroportuali per le merci che ci permettano di portare i nostri prodotti rapidamente da nord a sud del Paese e poi in ogni angolo d’Europa e del mondo”.

Questo il commento, mentre emerge un addio: negli ultimi quindici anni è stato detto addio a quasi una pianta da frutto su cinque nel nostro Paese. La scomparsa coinvolge tutte le principali produzioni: pere, limoni, pesche, albicocche, uva da tavola, ciliegie, arance, clementine.

Il punto viene snocciolato nel corso dell’analisi della Coldiretti “Salviamo l’ortofrutta italiana” illustrata all’inaugurazione del Macfrut di Rimini. L’associazione, nel dettaglio, sottolinea come la situazione peggiore si registri “per le nettarine, con la scomparsa di quasi la metà delle piante (-45 per cento) come per l’uva da tavola (-43 per cento), per le pere (-34 per cento) ma è anche stata estirpata una pianta di pesco su tre (-33 per cento), una pianta di mandarino su cinque (-20 per cento) e ben il 16 per cento degli alberi di arance mentre crescono in controtendenza solo i kiwi (+11 per cento)”. Si parla così di “una strage di piante da frutto che sta provocando la desertificazione dei territori nelle regioni italiane con drammatici effetti sui consumi nazionali, economia, lavoro, clima, ambiente e salute degli italiani”.

Per Coldiretti, “la superficie italiana coltivata a frutta si è ridotta a 516mila ettari con la perdita di oltre centomila ettari rispetto a 15 anni fa con conseguenze sul primato produttivo nazionale in Europa che si estende dai kiwi alle pere fresche, dalle ciliegie alle uve da tavola e alle albicocche”. Oltretutto, insiste Coldiretti, “il settore ortofrutticolo nazionale garantisce all’Italia 440mila posti di lavoro, pari ad oltre il 40 per cento del totale in agricoltura, con un fatturato di 15 miliardi di euro all’anno tra fresco e trasformato, il 25 per cento della produzione agricola totale, grazie all’attività di oltre 300mila aziende agricole che sono oggi a rischio, a causa di prezzi troppo bassi che non coprono i costi di produzione”.

Un trend che viene ritenuto pericoloso “anche dal punto di vista ambientale con degrado e all’abbandono che favorisce le alluvioni e le frane”. A preoccupare è anche l’impatto climatico, senza dimenticare che sul settore “pesano i rincari energetici che spingono i costi correnti per la produzione della frutta che arrivano ad aumentare del 42 per cento con un impatto traumatico sulle aziende agricole. L’impennata dei costi di produzione ha colpito tutte le fasi dell’attività aziendale – rileva Coldiretti – dai carburanti per la movimentazione dei macchinari alle materie prime, dai fertilizzanti agli imballaggi. Gli incrementi non hanno risparmiato neppure la plastica per le vaschette, le retine e le buste, la carta per bollini ed etichette, il cartone ondulato come il legno per le cassette”.

Infine, la concorrenza sleale delle produzioni straniere, “con la frutta Made in Italy stretta nella morsa del protezionismo da un lato e del dumping economico e sociale dall’altro. Le pere cinesi Nashi, ad esempio, arrivano regolarmente nel nostro Paese, ma quelle italiane non possono andare in Cina perché non è stata ancora concessa l’autorizzazione fitosanitaria. E finché non è chiuso il dossier pere non si può iniziare a parlare di mele, perché – termina Coldiretti – i cinesi affrontano un dossier alla volta. Ma porte sbarrate anche ai kiwi in Giappone perché non è ancora completato il dossier fitosanitario aperto dal 2008, in barba all’accordo di libero scambio Jeta siglato dall’Unione europea con il Governo nipponico”.


di Redazione