Istat lima al ribasso l’inflazione di marzo al 7,6 per cento

lunedì 17 aprile 2023


Il rallentamento dell’inflazione è dovuto alla decelerazione su base tendenziale dei prezzi dei beni energetici. Nelle stime definitive l’Istat ha rivisto al ribasso il dato sull’inflazione di marzo al +7,6 per cento. Nella stima preliminare era +7,7 per cento. Nel mese di marzo 2023, si stima che l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività al lordo dei tabacchi registri una diminuzione dello 0,4 per cento su base mensile e un aumento del 7,6 per cento su base annua, da +9,1 per cento nel mese precedente. I prezzi dei beni alimentari, per la cura della casa e della persona registrano una seppur lieve decelerazione in termini tendenziali (da +12,7 per cento a +12,6 per cento), mentre quelli dei prodotti ad alta frequenza d’acquisto mostrano una più decisa frenata (da +9,0 per cento a +7,6 per cento).

“A marzo prosegue la fase di rapido rientro dell’inflazione (scesa a +7,6 per cento), guidata dalla dinamica dei prezzi dei beni energetici” osserva l’Istat. A determinare il forte ribasso dell’inflazione di marzo è la componente energetica, trascinata dal prezzo delle bollette sul mercato tutelato che sono in continua flessione con dinamiche a segno meno, seguito dal rallentamento dell’aumento dei prezzi sul libero mercato. Nel dettaglio, il rallentamento dell’inflazione si deve alla decelerazione su base tendenziale dei prezzi dei beni energetici non regolamentati (da +40,8 per cento a +18,9 per cento) e all’accentuarsi della flessione di quelli degli energetici regolamentati (da -16,4 per cento a -20,3 per cento), i cui effetti sono stati solo in parte compensati dall’accelerazione dei prezzi degli alimentari non lavorati (da +8,7 per cento a +9,1 per cento), di quelli dei servizi relativi all’abitazione (da +3,3 per cento a +3,5 per cento), dei servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona (da +6,1 per cento a +6,3 per cento) e dei tabacchi (da +1,8 per cento a +2,5 per cento). L’indice armonizzato dei prezzi al consumo (Ipca) aumenta dello 0,8 per cento su base mensile, per la fine dei saldi stagionali di cui il Nic non tiene conto, e dell’8,1 per cento su base annua (in netto rallentamento da +9,8 per cento di febbraio); la stima preliminare era +8,2 per cento. L’indice nazionale dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati (Foi), al netto dei tabacchi, registra una diminuzione dello 0,4 per cento su base mensile e un aumento del 7,4 per cento su base annua. Nel primo trimestre 2023 l’impatto dell’inflazione, misurata dall’Ipca, è più ampio sulle famiglie con minore capacità di spesa rispetto a quelle con livelli di spesa più elevati (+12,5 per cento e +8,2 per cento rispettivamente).

Istat rivede l’inflazione acquisita per il 2023 al 5 per cento. Nelle stime definitive di marzo sull’inflazione l’Istat lima al ribasso anche il dato sull’inflazione acquisita per il 2023, rivisto a +5,0 per cento per l’indice generale e a +4,0 per cento per la componente di fondo. Era rispettivamente 5,1 per cento e 4,1 per cento nelle stime preliminari. Nel mese di marzo, l’inflazione di fondo, al netto degli energetici e degli alimentari freschi, resta stabile a +6,3 per cento, così come quella al netto dei soli beni energetici, che si attesta a +6,4 per cento. “Dopo la progressione che ha caratterizzato il 2022, l’inflazione di fondo si stabilizza al +6,3 per cento”, commenta l’Istituto nazionale di statistica.

Per il Codacons, il calo dell’inflazione è un’illusione. “La frenata dell’inflazione registrata a marzo dall’Istat – sostiene l’organizzazione – è purtroppo una illusione ottica dovuta al ribasso delle bollette di luce e gas, mentre i beni più acquistati dalle famiglie, dagli alimentari al carrello della spesa, continuano a crescere a ritmi vertiginosi”. Il Codacons, sulla base dei dati provinciali diffusi oggi dall’Istat, ha elaborato la classifica delle città dove l’inflazione cresce di più a marzo, e le relative ricadute di spesa sulle famiglie in base ai consumi medi dei cittadini residenti. Genova la città dove l’inflazione cresce di più a marzo, con un tasso del 9,8 per cento, fanalino di cosa Potenza, dove i prezzi aumentano solo del 4,8 per cento su base annua. A Bolzano e Milano le ricadute più pesanti, con la famiglia tipo che a causa dell’inflazione spende oltre 2.200 euro in più su base annua”.

“Aumenta del 18 per cento il prezzo della pasta nell’ultimo anno mentre il grano duro per produrla viene pagato agli agricoltori il 30 per cento in meno nello stesso periodo”. È quanto denuncia la Coldiretti in occasione della diffusione dei dati Istat sull’inflazione a marzo che in controtendenza rispetto ad una decelerazione generale evidenzia una stabilità nella crescita tendenziale dei prezzi dei beni alimentari, in media a +12,9 per cento. Per Coldiretti, sui listini della pasta “la distorsione appare chiara anche dall’andamento dei prezzi medi al consumo che secondo l’Osservatorio del Ministero del Made in Italy variano per la pasta da 2,3 euro al chilo di Milano ai 2,2 euro al chilo di Roma, dai 1,85 di Napoli ai 1,49 euro al chilo di Palermo mentre le quotazioni del grano sono pressoché uniformi lungo tutta la Penisola a 38 centesimi di euro al chilo. Una anomalia di mercato sulla quale – sostiene la Coldiretti – occorre indagare anche sulla base della nuova normativa sulle pratiche sleali a tutela delle 200mila imprese agricole che coltivano grano. I ricavi – sottolinea la Coldiretti – non coprono infatti i costi sostenuti dalle imprese agricole e mettono a rischio le semine ma anche la sovranità alimentare del Paese. Le superfici agricole coltivate a frumento duro, secondo le prime previsioni del Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste per quest’anno, sono in flessione per un investimento di 1,22 milioni ettari con una riduzione di circa il 2 per cento rispetto all’anno precedente”.


di Davide Battisti