lunedì 17 aprile 2023
L’economia di mercato incoraggia od ostacola la produzione di musica, letteratura e arti visive? Le forze della domanda e dell’offerta incentivano o disincentivano la creatività? Erano queste le domande da cui muoveva, nel 1998, Tyler Cowen nel suo importante libro In praise of commercial culture. Un titolo che racchiude anche la risposta a tali interrogativi, un elogio della cultura commerciale e del capitalismo come cornice all’interno della quale far convivere una pluralità di visioni artistiche e di proposte sia per il largo pubblico che di natura più sperimentale. Un approccio per così dire “ottimistico” alle questioni culturali, che è anche quello che cerchiamo di adottare all’Ibl e che proviamo a declinare alle politiche e alle vicende di “casa nostra”. Non è quindi un caso se abbiamo promosso la presentazione di un libro, che si terrà domani, che racconta del coinvolgimento del “più importante network televisivo privato nazionale” a favore del cinema italiano. Una storia, quella di Mediaset, raccontata nel volume curato da Gianni Canova e Rocco Moccagatta, che attraverso tre sigle societarie (Reteitalia, Penta e Medusa) ha segnato quattro decenni di cinema italiano. Una storia però che, come scrivono i due curatori, è stata “trascurata, elusa, addirittura accantonata” per pregiudizi e diffidenze ma che innegabilmente ha lasciato e sta lasciando il segno a livello economico-industriale, culturale e nell’immaginario collettivo del Paese.
Mediaset ha infatti finanziato e prodotto circa 600 titoli, molti dei quali sono stati dei successi commerciali e, tra questi, non sono mancati film che hanno ricevuto prestigiosi riconoscimenti internazionali: basti pensare alla Grande bellezza (2013) di Paolo Sorrentino che ha ottenuto il Premio Oscar. In un Paese come il nostro in cui l’attenzione è spesso rivolta al ruolo dello Stato, come promotore e sostenitore dell’arte, con le sue leggi e le sue iniziative a tutela della produzione nazionale, con i suoi contributi, sussidi e agevolazioni, con le quote e gli obblighi di investimento e programmazione, con il suo “braccio operativo” rappresentato dalla Rai, è meritorio che si scelga un’altra narrazione e che l’attenzione venga rivolta su un altro attore. Sarà forse allora per questo nostro approccio ottimistico, che non stupisce che il libro, esplorando “un territorio in buona parte ignoto”, delinei un panorama complessivo del cinema italiano “assai più ricco, articolato e complesso di quanto non apparisse prima”.
(*) Direttore editoriale Istituto Bruno Leoni
di Filippo Cavazzoni (*)