Lo sviluppo sostenibile tradito

lunedì 3 aprile 2023


C’era una volta una parolina magica che teneva tutto insieme. Aveva cambiato la prospettiva sotto la quale la società industriale avanzata doveva muoversi nel presente e nel futuro, per evitare gli errori del passato. La parolina – il cui aggettivo avrebbe dovuto caratterizzare d’ora in avanti il nostro sviluppo – era “sostenibilità”.  Nello Sviluppo Sostenibile tutto si teneva: individui e imprese, conti economici e lotta alla povertà, benessere sociale e investimento sulle nuove generazioni, perché – si diceva – “non pagassero il costo delle nostre scelte sbagliate”.

E dire che di scelte sbagliate la storia repubblicana era stata fino a quel momento letteralmente costellata: dalle baby pensioni alla rinuncia al nucleare, dalla scala mobile alla dismissione della chimica, il sentiero della politica italiana era lastricato di scelte che restringevano le opportunità invece di ampliarle, che riduceva gli spazi di libertà economica, fino a minacciare le libertà fondamentali degli individui. L’entrata nell’euro finiva con l’essere una scelta obbligata, fatte salve le false promesse e i miraggi “prodiani”, ed errori madornali di programmazione economica e monetaria, la cui leva e i cui aggiustamenti venivano irrimediabilmente perduti per sempre.

Questo passaggio si compiva penalizzando l’iniziativa economica, frustrando gli spiriti animali dell’economia, fiaccando il ceto medio, e, infine, puntando – ma come può mirare una banda di scassinatori, e non un promotore finanziario di ricchezza individuale – all’ampio risparmio maturato dagli italiani nei decenni del boom economico. L’ultimo capitolo di questa “saga della dissoluzione”, da parte dei reggitori dello Stato, è la stretta sull’efficienza energetica degli edifici, mirando – sempre in modo truffaldino –  al patrimonio individuale, specie quello immobiliare, cercando di dissolverlo, svenderlo, e polverizzarlo.

Ma torniamo alla sostenibilità e al suo tradimento. Lo sviluppo sostenibile nasceva ufficialmente, a livello internazionale, a Rio de Janeiro, in quel 1992 che fu così nefasto per l’Italia. Durante quella entusiasmante prima conferenza, dove, per la prima volta, sedevano contemporaneamente i ministri dell’ambiente di 172 Paesi, nessuno poteva prevedere che lo sviluppo sostenibile sarebbe stato un giorno, ignobilmente, ingannato e stravolto. Se non altro, nessuno poteva ipotizzare da quale parte il tradimento sarebbe stato perpetrato.

Lo sviluppo sostenibile si compone infatti di tre pilastri.

Il primo è quello ambientale, secondo il quale, da parte chi si occupa dello sviluppo occorre necessariamente tenere in conto un ambiente pulito, sano, ricco di biodiversità, un’aria libera dagli inquinanti, un’acqua potabile a beneficio di tutti, un’agricoltura rispettosa della terra e che riduce l’uso di sostanze chimiche e nocive, un’industria che rende puliti ed efficienti i propri impianti, una riduzione progressiva delle plastiche, dei veicoli ce dei motori maggiormente efficienti, che limitino il consumo dei carburanti, una salvaguardia diffusa della massa forestale e il suo ampliamento a livello mondiale, e un mix di energie meno dispendiose di sostanze tossiche e soprattutto una loro estrazione che sia compatibile con la crescita della popolazione. Questa era la grande novità introdotta dalla Conferenza del 1992.

Gli altri due sono quello economico e quello sociale: i pilastri classici dello sviluppo.

Lo sviluppo sostenibile voleva infatti accelerare quel percorso virtuoso intrapreso nei secoli dalla civiltà occidentale per limitare l’impatto della rivoluzione industriale sulle vite delle persone. Questo percorso aveva progressivamente fatto passare città industriali come Londra, Manchester, Liverpool, Milano, Dortmund, Detroit, da inferni di smog e nitrati azotati delle centrali a carbone a moderne città dove la qualità dell’aria e della vita tornava accettabile e il verde pubblico si espandeva invece di essere avvolto da cappe inquinanti. Per capirsi, si voleva passare dall’“anidride solforosa” celebrata da Lucio Dalla, ai “cieli immensi” e alle “distese azzurre e le verdi terre” o le “acque azzurre e chiare” cantate da Lucio Battisti, dalla ambientazione dei romanzi di Dickens e Cronin ai paesaggi di Bruce Chatwin, Cormac McCarthy, e Francisco Coloane.   

Quel che la Conferenza di Rio voleva mostrare era una strada virtuosa per decine e decine di Paesi che avevano ancora bisogno di accelerare e aumentare il loro grado di sviluppo, fare questa scelta avrebbe consentito loro di non degradare l’ambiente, di salvaguardare il benessere della popolazione, mentre si accrescevano opportunità economiche e condizioni di vita.

Ebbene, nel momento in cui si pianificavano azioni per cercare di risolvere la povertà diffusa e la crescente disparità tra Paesi industrializzati e Paesi in via di sviluppo, si stavano mettendo le basi per fare ben altro.

Ad esempio far crescere enormemente le disuguaglianze all’interno dei paesi industrializzati, con indici Gini che sono cresciuti esponenzialmente, procedendo alla distruzione della classe media. Sempre a titolo di esempio, da allora, nella sola Italia, si sono triplicati i milioni di poveri. Ad esempio, i Paesi in via di sviluppo hanno proceduto spediti senza scegliere – se non marginalmente – la strada della sostenibilità ambientale. India, Cina, Brasile, i Paesi africani crescono speditamente nel Pil senza modificare i loro parametri ambientali, diminuendo progressivamente il dislivello con il mondo occidentale.

Infine, sempre ad esempio, ed in particolare, in trenta anni, nell’Europa e nel Nordamerica, tutti i principi economici sono stati stravolti, al punto che, con l’inflazione galoppante, dovuta alla finanziarizzazione dell’economia e all’innalzamento del debito, i livelli di vita sono peggiorati, si corre verso la crescita zero, è iniziato il depopolamento e addirittura è stato rovesciato l’effetto Flynn, quello che stabiliva che il quoziente intellettivo era crescente, come avvenne per tutto il ‘900. In Italia si sono dismessi interi comparti industriali, il florido nordest, locomotiva italiana, non ha retto alla competizione della Cina, entrata nel Wto.

Dunque, le scelte compiute dagli Stati e, in particolare dall’Unione europea e dalle amministrazioni italiane, non sono ormai più sostenibili economicamente, ma ancor meno lo sono socialmente. La tassazione ovunque è aumentata, e in Italia raddoppia. Lo Stato si arricchisce ma a fronte di questo non eroga servizi accettabili.

In altre parole, non ci può essere alcuna sostenibilità, se non vi è sviluppo economico e sociale, se si dissolve progressivamente un’Italia industriosa e produttiva, se si spinge alla depauperizzazione della piccola e media impresa, del lavoro, dei salari, sotto smanie crescenti di legiferazione, di contributi statali, di bonus e fiscalità sempre crescente, come l’aumento della quota di Irpef regionale, varata nel Lazio, se si persevera nel progressivo prosciugamento dei conti correnti per pagare bollette ormai stellari o adeguamenti delle abitazioni ai parametri di classe energetica. Inoltre la mannaia della progressione sull’uso dei veicoli elettrici e la stretta sui carburanti tradizionali minaccia la libertà e la mobilità dei cittadini, proprio dopo aver sperimentato lockdown e chiusure forzate di ristoranti, palestre e piscine. 

Per giunta, il sacrificio che le società e le economie di tutta Europa – e in Italia ancor più sensibilmente – stanno pagando non trovano nessuna reale contropartita neanche sul pilastro ambientale. Si assiste infatti un po’ ovunque a una riduzione progressiva del verde e delle foreste, anche a causa di incendi boschivi endemici (a Roma è poi particolarmente evidente una folle gestione delle riserve dei suoi leggendari pini).

Nel mondo è diffuso il saccheggio dei suoli e delle risorse naturali a caccia di terre rare per confezionare batterie elettriche, e una crescita esponenziale nell’uso delle plastiche e dunque anche nell’estensione dell’isola (Pacific trash vortex, calcolato estendersi da 1 a 10 milioni di km quadrati) creata dalla plastica nell’oceano Pacifico, a causa dell’incapacità – specie in Italia – di fare usi razionali ed economici dei rifiuti. Infine, le riduzioni europee nell’emissione della Co2 risultano ridicole, a fronte di Paesi che invece la fanno aumentare ogni anno, infischiandosene dei propositi di riduzione globale, pur di salvaguardare il loro Pil.  

Così mentre il transatlantico climatico – secondo le stime dell’Ipcc, per color che venerano questo discutibile organismo prettamente politico – affonda, è come se l’Europa, e con lei l’Italia, distribuisse cannucce e cucchiaini d’argento alla cittadinanza per evitarne il naufragio, sapendo bene che si tratta di un inganno tangibile. Probabilmente, continuando di questo passo, le zero emissioni di Co2 si raggiungeranno attraverso lo sterminio diretto della popolazione europea residente, che invece continua imperterrita ad emetterla 20mila volte al giorno, cioè ogni volta che respira, ciò prima che la Commissione europea interverrà a proporre un tetto individuale e umanamente insostenibile alle inspirazioni e alle espirazioni concesse a ciascuno di noi.   


di Andrea De Angelis