Se Meloni diventasse la Margaret Thatcher italiana?

martedì 27 dicembre 2022


L’eredità che ha lasciato la precedente legislatura al nuovo governo è un debito pubblico di ben 2.771 miliardi di euro. A dicembre del 2018 il debito complessivo ammontava a 2.317 miliardi di euro. I governi Conte 1 e 2 e il governo Draghi hanno incrementato l’esposizione complessiva dell’Italia nei confronti dei creditori nazionali e internazionali di ben 454 miliardi di euro. Quelli che nel linguaggio politico sono stati definiti “scostamenti di bilancio” in realtà sono state spese dello Stato sostenuti a debito. Onere che grava sulle spalle delle future generazioni. In sostanza, si è speso quello che non si poteva spendere. L’enorme incremento dell’indebitamento pubblico nominale si è concretizzato nonostante la crescita delle entrate fiscali. Il parametro utilizzato, nella comunicazione politica, ovvero il rapporto debito pubblico-Pil è un espediente che non significa nulla.

È un vero distrattore. I debiti devono essere comunque pagati. Nessuna banca finanzierebbe una impresa che ha un debito superiore a quanto produce in un anno e soprattutto se continua ad aumentare la propria esposizione debitoria. Nel 2018 le entrate dell’erario sono state 463.296 miliardi di euro con un incremento di 7.652 miliardi euro. Nel 2019 le entrate tributarie sono cresciute a 471.622 miliardi di euro. Nel 2020 l’erario dello Stato ha incassato 446.796 miliardi di euro oltre 25 miliardi meno rispetto all’anno precedente. Risulta evidente l’effetto Covid-19 del 2020. Nel 2021 le entrate ritornano a crescere fino a 496.094 miliardi di euro. Nel 2022 è molto probabile che le entrate fiscali supereranno i 500 miliardi di euro. Il paradosso è che aumentano le entrate delle Stato e ciò nonostante il debito continua ad aumentare. È di tutta evidenza che la spesa continua a crescere a un ritmo decisamente più alto rispetto alle pur crescenti entrate tributarie. Pertanto, non è l’aumento delle imposte l’obiettivo che deve perseguire il nuovo esecutivo ma la riduzione della spesa. Non è possibile continuare ad libitum ad indebitare la nazione, presto o tardi i mercati finanziari ci presenteranno il conto.

A differenza dei governi Conte 2 e quello di Mario Draghi, la cosiddetta “Unione europea” (di unito ha ben poco) non ci consentirà presto di sforare dai parametri stabiliti a Maastricht, e la Bce presieduta da Christine Lagarde (non proprio benevola con l’Italia) non comprerà più il nostro debito sovrano. Con l’approvazione della Legge di Stabilità per il 2023 (formalmente predisposta dal nuovo esecutivo ma di fatto già scritta dal governo Draghi) la coalizione di governo potrà finalmente attuare il suo programma di governo. Fortunatamente il primo impegno elettorale di rilievo riguarda le Regionali nel Lazio e in Lombardia che si terranno il 12 e il 13 marzo. Salvo madornali errori, la coalizione vincente alle Politiche si confermerà nelle due importanti regioni. Le Europee si terranno nella primavera del 2025. Giorgia Meloni ha l’occasione di dimostrare agli italiani e al resto del mondo di essere prima di tutto una statista oltre che una straordinaria polarizzatrice di consensi elettorali. Il bilancio dello Stato italiano costa al contribuente oltre un milione di miliardi.

Molti dei quali sono sprechi. Il primo obiettivo che si deve prefiggere un esecutivo con respiro di legislatura è il rispetto del dettato dell’articolo 81 della Costituzione: “Lo Stato assicura l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico”. Occorre “affamare la bestia fiscale” puntando sulla riduzione delle spese correnti con particolare riferimento alle provvidenze pubbliche elargite per ragioni clientelari che favoriscono sempre interessi particolari a scapito di tutti i contribuenti che ne sostengono l’onere. Parte del risparmio deve servire all’ammortamento del debito complessivo nominale. A parità di carico fiscale, con meno mance dello Stato erogate a man bassa, si ottiene una riduzione del debito. A meno debito corrisponde una riduzione di emissione di debito sovrano con conseguente riduzione di oneri finanziari e dello spread. Maggiore sarà l’affidabilità sui mercati finanziari dell’Italia minore sarà il costo del servizio del debito pubblico. Quello che gli economisti definiscono circolo virtuoso. Incrementare l’emissione di titoli “patriottici” destinati al risparmio privato degli italiani.

Pagare gli interessi agli italiani significa che le risorse finanziarie restano in Italia in luogo di arricchire investitori stranieri. Affrancarsi dai creditori stranieri vuol dire essere meno esposti alla spada di Damocle dei mercati finanziari. Il ricorso abnorme alla spesa pubblica corrente per scopi elettorali dei precedenti governi permetterebbe all’attuale esecutivo spazi di manovra di revisione della spesa tali da permettere nella legislatura il risanamento finanziario del Paese. L’Italia è una nazione economicamente sana, forte del suo apparato produttivo, con forte vocazione all’esportazione (nel 2022 supereremo i 600 miliardi di euro) ma finanziariamente fragile, nonostante il grande risparmio detenuto dagli italiani. Attuare una politica rigorosa sul lato della spesa e una corrispondente prudente riduzione del carico fiscale potrebbe portare il Paese fuori dai condizionamenti di un’Europa che non ci vuole bene. Obiettivi così audaci possono essere perseguiti da Giorgia Meloni che potrebbe diventare la “lady di ferro” italiana.


di Antonio Giuseppe Di Natale