Limitazioni all’uso del contante: risposta reale o falso problema?

martedì 13 dicembre 2022


La decisione del Consiglio Ue di fissare a 10mila euro il limite massimo all’utilizzo del contante nella stessa Ue rappresenta un passo significativo nell’ambito della lotta al riciclaggio e del contrasto del finanziamento del terrorismo, creando al tempo stesso un’uniformità che fino ad oggi non è esistita e che ha creato anche situazioni problematiche. L’articolo riporta un excursus dell’evoluzione normativa in Italia dalla legge numero 197/91 ad oggi, evidenziando come già le istituzioni europee si fossero espresse in merito alla scarsa utilità dello strumento in questione rispetto ai temi in discussione ed in particolare a quello del contrasto all’evasione ed elusione fiscale.

La recente decisione del Consiglio dell’Unione europea, che fissa il limite massimo all’utilizzo del contante all’interno dell’Unione nell’importo di 10mila euro, sembra aver sopito le polemiche interne sollevate da qualcuno in relazione all’intenzione del governo di elevare l’attuale soglia prevista nel nostro Paese e rappresenta l’occasione per una ricostruzione dell’evoluzione della relativa disciplina in Italia.

La decisione ha lo scopo di uniformare le normative nazionali nell’ambito del più ampio tema della lotta al riciclaggio e del contrasto del finanziamento del terrorismo, visto che, fino ad oggi, ogni stato membro si è mosso con una certa autonomia. I pagamenti, anche di importo elevato e superiori ai 10mila euro, sono infatti ancora permessi in diversi stati quali: Austria, Cipro, Estonia, Finlandia, Germania, Ungheria, Irlanda, Lussemburgo, Olanda. Tra i Paesi che hanno imposto un tetto vi sono invece la Croazia, con 15mila euro e la Repubblica Ceca e Malta con 10mila euro.

La ratio delle norme che disciplinano la limitazione all’uso del denaro contante è rappresentata dall’intenzione di combattere i fenomeni criminosi che passano attraverso i pagamenti non tracciabili; la canalizzazione dei flussi finanziari negli archivi contabili di enti creditizi e finanziari, li rende infatti facilmente accessibili e consultabili in un’ottica di prevenzione e repressione del riciclaggio e della lotta al terrorismo. A queste finalità di carattere generale, si è aggiunta, per il nostro Paese, l’asserita esigenza di contrasto dei fenomeni di evasione ed elusione fiscale. È importante ricordare che i soggetti obbligati che, nell’esercizio delle proprie funzioni o nell’espletamento della propria attività, vengono a conoscenza dell’inosservanza dei limiti imposti dalla legge per l’uso del contante devono darne comunicazione, entro trenta giorni, al Ministero dell’Economia e delle Finanze.

La disciplina della materia è oggi contenuta negli articoli 49, 50 e 51 del Decreto legislativo numero 231/2007, ma negli anni il legislatore ha mostrato una certa irrequietezza sul punto e le soglie di utilizzo del denaro contante sono state di volta in volta modificate dai diversi Governi che si sono succeduti. Il primo intervento che in Italia ha sancito limiti all’utilizzo di denaro contante fu quello introdotto con la Legge 5 luglio 1991 numero 197, di conversione del Decreto legge del 3 maggio 1991 numero 143, la quale vietava il trasferimento di denaro contante o di libretti di deposito bancari o postali al portatore o di titoli al portatore in lire o in valuta estera, effettuato a qualsiasi titolo tra soggetti diversi, quando il valore da trasferire è complessivamente superiore a lire venti milioni. Per effetto dell’entrata in vigore della nuova valuta, detto importo venne dapprima convertito in euro e successivamente, per effetto del Decreto ministeriale del 17 ottobre 2002, portato alla soglia di euro 12.500. La norma è rimasta sostanzialmente immutata fino all’entrata in vigore del Decreto legislativo 231/2007, emanato in attuazione della Terza Direttiva Ce, provvedimento che ha subito nel tempo diverse modifiche ma che ancora oggi regolamenta la materia. Il testo originario prevedeva l’abbassamento della soglia limite ad euro 5mila, stabilendo che per verificare il superamento della stessa non si dovesse più fare riferimento (come era nell’articolo 1 legge 197) al valore oggetto del trasferimento, bensì al valore dell’operazione anche frazionata, intendendosi per tale “un’operazione unitaria sotto il profilo economico, di valore pari o superiore ai limiti stabiliti dal presente decreto, posta in essere attraverso più operazioni, singolarmente inferiori ai predetti limiti, effettuate in momenti diversi ed in un circoscritto periodo di tempo fissato in sette giorni ferma restando la sussistenza dell’operazione frazionata quando ricorrano elementi per ritenerla tale”.

Su questo impianto normativo si è inserito, dapprima il Decreto legge 112/2008, convertito in Legge 185/2008, che ricondusse la soglia a 12.500 euro (dopo solo due mesi dall’entrata in vigore della precedente nuova soglia di 5mila euro), e poi il Decreto legislativo 251/2009, con cui il legislatore, fermo il limite, tornò a prendere nuovamente come riferimento il valore oggetto del trasferimento (e non più l’operazione), prevedendo inoltre testualmente che i pagamenti frazionati effettuati con denaro contante per importi inferiori a 12.500 euro, anche se riferibili ad operazioni complessivamente di importo superiore, dovevano ritenersi vietati nella sola ipotesi “in cui essi appaiano artificiosamente frazionati”. In conseguenza dell’articolo 20 del Decreto legge del 31 maggio 2010 numero 78, il divieto di utilizzo di denaro contante (o di titoli al portatore) venne imposto per gli importi pari o superiori ad euro 5mila. Seguiranno poi la manovra di Ferragosto (Decreto legge del 13 agosto 2011, numero 138 convertito in Legge il 14 settembre 2011, numero 148) con cui la soglia viene ridotta ad euro 2.500, ed il Decreto Salva Italia (Decreto legge 201 del 6 dicembre 2011), con cui l’importo viene ulteriormente ridotto ad euro 1.000. Dal 1° gennaio 2016 il divieto di utilizzo di denaro contante (o di titoli al portatore) è stato previsto per gli importi pari o superiori ad euro 3mila (comma 898 della legge 28 dicembre 2015). Infine l’articolo 18 del Decreto legge 124/2019 convertito con Legge 157/2019, ha fissato il limite di euro 2mila fino al 31 dicembre 2021 (termine successivamente prorogato al 31 dicembre 2021), ulteriormente ridotto ad euro 1.000 a partire dal 1 gennaio 2023.

Si sottolinea che l’ultima riduzione è stata oggetto di una lettera di richiamo da parte della Banca centrale europea, la quale ha ricordato che in materia di pagamenti in contanti i Governi sarebbero tenuti a richiedere un parere preventivo proprio alla stessa Bce. Ad oggi, il nuovo tetto massimo all’uso del contante è ancora in discussione da parte del governo, e approderà nella legge di bilancio 2023 la cui bozza, secondo indiscrezioni, parlerebbe di 5mila euro, a partire dal 1 gennaio 2023.

Come anticipato, la decisione del consiglio Ue ha per il momento placato la polemica sorta in Italia, condotta da quella corrente di pensiero che sostiene l’efficacia di limitazioni che, incentivando i pagamenti tracciabili, ridurrebbero l’area dell’evasione e del sommerso. In attesa del nuovo “Corpus normativo antiriciclaggio Ue”, preannunciato dal Consiglio Ue nella conferenza con la quale è stato fissato il limite europeo di 10mila euro, la questione generale è già stata affrontata in ambito comunitario dalla Commissione europea nel 2018 con la “Relazione al Parlamento europeo e al Consiglio sulle restrizioni ai pagamenti in contanti”, che ha evidenziato come le restrizioni ai pagamenti in contanti, pur utili in ambito antiriciclaggio, darebbero uno scarso contributo al contrasto del finanziamento del terrorismo o della frode fiscale, fondamentalmente per due motivi:
– il primo, relativo agli atti terroristici, è dovuto al fatto che il costo degli stessi è spesso inferiore alla soglia dei 10mila euro e le singole operazioni sono spesso di importo addirittura inferiore; ne consegue che i limiti al trasferimento di contante (che non rappresenterebbero in ogni caso un deterrente per i criminali) inciderebbero poco sulla capacità di preparare tali attentati;
– il secondo, che in questa sede maggiormente interessa, fa riferimento al fatto che le frodi fiscali davvero rilevanti non sono realizzate tramite l’uso di contanti, ma mediante operazioni e strutture giuridiche complesse, che spesso coinvolgono più Stati. I fenomeni di evasione basati sui contanti riguardano generalmente operazioni di importo contenuto e quindi non sarebbero interessate da limiti che non fossero fissati ad un livello davvero molto basso.

A quest’ultimo proposito è interessante sottolineare come anche la Banca centrale europea abbia avuto modo di dire la propria sulle restrizioni ai pagamenti in contanti ed in particolare nel 2018, in relazione ad una proposta spagnola che fissava a 1.000 euro il limite per i pagamenti in contanti, seppur solo per alcune tipologie di contribuenti. La Bce ha ritenuto sproporzionata tale proposta affermando che le limitazioni dirette al contrasto dell’evasione fiscale devono essere proporzionate e compatibili con il corso legale di monete e banconote in euro, sottolineando inoltre due elementi particolarmente importanti: il fatto che vi sono larghe fasce di popolazione per le quali la possibilità di pagare in contanti rimane importante, per diverse (e del tutto lecite) ragioni e il fatto che tali pagamenti favoriscono l’accesso al sistema economico dell’intera popolazione, senza dimenticare infine che i pagamenti mediante mezzi elettronici dipendono da infrastrutture tecniche che possono guastarsi o essere momentaneamente non disponibili. Anche in relazione alla questione “riciclaggio”, la Commissione evidenzia che lo stesso avviene spesso attraverso l’acquisto di beni di valore elevato, per cui un’eccessiva restrizione all’uso del contante non sarebbe in grado di incidere significativamente.

Quello invece che la Commissione ha evidenziato chiaramente è il fatto che l’esistenza di restrizioni divergenti tra diversi Paesi ha un considerevole impatto negativo sul mercato interno, distorcendo la concorrenza e creando condizioni di disparità tra alcune imprese, con il rischio di favorire i sistemi economici dei Paesi limitrofi a discapito di quello nazionale, senza grandi benefici in termini di recupero di gettito. Sembra infatti che la presenza di limiti nazionali ai pagamenti in contanti, diversi da Stato a Stato, incida sullo spostamento del fatturato da un Paese ad un altro, con conseguenze anche “sull’efficienza della misura nazionale nel raggiungere gli obiettivi di politica pubblica”.

Alla luce di tutto quanto sopra è quindi certamente da apprezzare l’intervento del Consiglio Ue, diretto a creare uniformità tra i Paesi membri, indicando un tetto che, seppur non vincolante in basso, rappresenta comunque un significativo indice di riferimento ai fini del contrasto dei fenomeni che, ormai da oltre trent’anni, la limitazione all’uso del contante, intende reprimere. Per quanto riguarda in particolare il nostro Paese, se l’intenzione di incidere sul sistema dei pagamenti ha lo scopo precipuo di combattere l’evasione fiscale, sarebbe forse più opportuno introdurre incentivi all’utilizzo dei pagamenti elettronici anziché demonizzare il contante, senza dimenticare tuttavia che il lavoro principale va svolto attraverso una seria e completa riforma del sistema fiscale, la cui complessità, farraginosità ed onerosità è palese agli occhi di tutti. Ferma ogni altra tematica, utili ai fini evidenziati potrebbero essere alcuni esperimenti “non abnormi” degli anni precedenti, in quanto, per esempio, la possibilità di detrarre le spese sostenute, in sede di dichiarazione dei redditi, rappresenta da sempre il maggior incentivo a richiedere la fattura da parte del prestatore di beni o servizi.

(*) Tratto dal Centro Studi Rosario Livatino


di Angelo Vianello (*)