La riforma del fallimento è già... fallita?

lunedì 5 dicembre 2022


Il 15 luglio 2022 è finalmente entrato in vigore, dopo diversi rinvii, il Codice della crisi d’impresa. La riforma della disciplina fallimentare, come abbiamo avuto modo di evidenziare nel briefing paper di Ibl  “Dal “fallimento” alla “liquidazione giudiziale”: cos’è mai un nome?, è stata animata da ottime intenzioni (soprattutto a proposito della volontà di congedarsi dalla tradizione sanzionatoria che tratta ogni crisi come una frode), ma l’esecuzione complessiva è rimasta al di sotto delle aspettative.

La novità probabilmente più importante dell’impianto normativo, la procedura di allerta e composizione assistita della crisi, sta già mostrando alcuni gravi limiti. Il quotidiano Italia Oggi, qualche settimana fa, ha riportato che, dall’entrata in vigore del Codice, sono state presentate solo 485 istanze di negoziazione della crisi. Un numero così basso non si spiega certo alla luce di un momento economico favorevole (tutt’altro), bensì per il timore – cui hanno dato voce i professionisti del settore – che, proclamando lo stato di crisi, si mettano in allarme le banche e i fornitori, i quali ritireranno la fiducia alla società che si è dichiarata in difficoltà, con la conseguenza del blocco del credito e delle forniture.

Il meccanismo della procedura di allerta, infatti, sembra orientato non tanto ad accrescere l’autoconsapevolezza del soggetto in crisi, bensì a forzargli la mano, imponendogli di rivelare lo stato di difficoltà anche nei confronti di soggetti terzi. La procedura di allerta, insomma, sembra risentire del tradizionale “sospetto” che circonda l’evento del fallimento (e la persona del fallito): dietro il paravento della commendevole intenzione di cercare una soluzione alla crisi, si intravede il tentativo di mettere sotto stretta sorveglianza l’impresa, per evitare non tanto l’esito del dissesto irreversibile, quanto piuttosto temute frodi.

L’istituto del “fallimento” è un tassello fondamentale dell’ordine giuridico che sorregge l’economia libera: per un verso, consente di selezionare “vincitori” e “perdenti” secondo logiche decentrate e non dirigistiche; per altro verso, libera risorse (dal capitale fisico a quello umano) che possono essere impiegate dal mercato in nuove forme. In altre parole, la disciplina della crisi, lungi dal gestire soltanto la fase terminale dell’espulsione dal mercato delle imprese decotte, ha ripercussioni importanti sull’intero sistema economico. Nessuna riforma sarà mai perfetta, ma è ancora possibile per il Parlamento intervenire per produrre un Codice della crisi meno imperfetto.

(*) Forlin fellow Istituto Bruno Leoni


di Giuseppe Portonera (*)