lunedì 7 novembre 2022
Lo scorso 26 ottobre l’Agenzia delle accise, dogane e monopoli (Adm) ha presentato il “Libro Blu”, il documento redatto annualmente che riporta tutte le entrate economiche relative ai diversi settori da essa amministrati, tra cui quello del tabacco.
Ne parliamo con il professor Marco Spallone, vicedirettore del Centro Arcelli per gli studi Monetari e Finanziari (Casmef) dell’Università Luiss Guido Carli e docente di Economia.
Professore, dalla relazione dell’Adm emerge una crescita evidente del gettito nel settore del tabacco.
Il dato va accolto con ottimismo e favore, e mi pare che anche l’industria e le istituzioni abbiano condiviso una forte soddisfazione. Il risultato si deve ad una struttura della tassazione equilibrata che ha permesso al gettito di mantenere livelli importanti. Solo le entrate delle accise sono state sopra i 10 miliardi di euro (14, 4 miliardi per l’esattezza, includendo il gettito IVA, ndr), in crescita rispetto agli anni precedenti, con un po’ di sostituzione che ci è stata tra i prodotti tradizionali con quelli più innovativi, in particolare quelli a tabacco riscaldato. Credo che sia il risultato di una situazione stabile e corretta sia dal punto di vista delle dinamiche di mercato che di quelle fiscali.
Le aziende del settore, visto il momento delicato ma anche in funzione di questa crescita, chiedono di non aumentare le tasse.
Questo è un tema ricorrente, soprattutto quando si arriva in prossimità della legge di bilancio. C’è sempre il timore che il comparto dei tabacchi venga fatto oggetto di aumenti di prelievo perché è una delle risorse da cui si accinge quando si vuole fare cassa. Personalmente ritengo che la posizione dell’industria sia condivisibile perché siamo in un trend positivo di gettito. Aumentare le aliquote ed i prelievi, quanto meno dal punto di vista teorico, non vuol dire necessariamente aumentare il gettito. L’idea dell’industria del tabacco è che se si lascia inalterata la situazione attuale, dato il trend positivo, non si va incontro a sorprese: si mantiene un gettito elevato e potenzialmente in crescita. Cosa che non sarebbe assicurata se ci fosse un’inversione di tendenza da parte delle autorità preposte, dal punto di vista della pressione fiscale. Dal punto di vista delle imprese che su questi mercati operano, se la tassazione venisse aumentata non sarebbe assolutamente scontato un aumento del gettito, anzi si potrebbe andare incontro ad effetti perversi andando ad alterare le attuali dinamiche di mercato. Si rischierebbe insomma un effetto paradosso.
L’Agenzia delle accise, dogane e monopoli ha fatto spesso riferimento alla lotta al contrabbando. Che rapporto c’è tra fiscalità e contrabbando?
Il rapporto è abbastanza semplice: nel momento in cui aumenta la fiscalità, l’aumento delle tasse deve essere scaricato sul prezzo finale del prodotto – in tutto o in parte, l’incidenza dipende da una serie di decisioni strategiche delle imprese –. Quindi se aumenta la pressione fiscale sul produttore aumenta anche necessariamente il prezzo finale pagato dai consumatori. Questo implica che si crea un divario maggiore tra il prezzo che praticano coloro che vendono legalmente i prodotti di tutta la filiera del tabacco e coloro che li vendono in modo illegale. Perché, non pagando le tasse, non risentono degli effetti sui prezzi dati dell’aumento della pressione fiscale che si avrebbero per chi vende legalmente il tabacco. Aumenta quindi il guadagno potenziale per chi traffica illegalmente sui tabacchi perché aumenta l’incentivo per chi fa contrabbando, potendo sperare in un potenziale guadagno maggiore. E, dall’altra parte, aumenta la convenienza dei consumatori ad accedere a prodotti illegali perché il risparmio diventa maggiore. Se aumenta la pressione fiscale, quindi, c’è una buona probabilità che aumenti anche la quota di prodotto illegale che circola, date le convenienze sia per chi vende che per chi compra.
L’Italia tra l’altro ha una storia di contrabbando importante: si importavano sigarette illegali dalla Puglia in tutta la penisola. Solo con una oculata politica dei prezzi, molto più che con le politiche repressive, si è riportato sotto controllo il fenomeno del contrabbando, riducendone la convenienza.
Finora abbiamo parlato di tabacco tradizionale. Ma esiste una differenza, non solo fiscale, di come vengono gestite le nuove categorie di prodotti che includono prodotti molto diversi: la sigaretta elettronica, lo svapo, il tabacco riscaldato, ecc.
In effetti si tratta di prodotti molto diversi. Però è chiaro che il settore intero va regolamentato: la legislazione italiana è in attesa di recepire le indicazioni europee. Al momento, su questi prodotti, mi pare che ci sia in Italia un controllo adeguato, soprattutto per quanto riguarda l’impatto sulla salute. È ovvio però che il discorso sulla fiscalità di questi prodotti è molto più ampio: bisogna intanto ottenere delle evidenze scientifiche chiare su quelli che sono i possibili danni alla salute sia per le sigarette elettroniche (quindi con liquido contenente nicotina) che per i prodotti a tabacco riscaldato, e per questo serve necessariamente del tempo per studiare i dati a disposizione. Questo è un tema dirimente. Su entrambi i fronti, in attesa delle evidenze scientifiche, bisogna mantenere una posizione prudente. Però, al momento questi prodotti hanno degli sconti fiscali perché tengono conto delle evidenze empiriche che abbiamo ad oggi, ovvero che i danni siano minori rispetto al tabacco tradizionale.
Il dato che personalmente ritengo preoccupante è l’appeal che questi prodotti hanno sui giovani, soprattutto non fumatori di tabacco tradizionale, proprio perché sono accattivanti, tecnologici e appetibili. Inoltre ci si dovrà porre il problema dello smaltimento delle batterie di queste nuove “sigarette tecnologiche”.
Le aziende presenti al confronto per il “Libro Blu” dell’Adm, hanno presentato la Francia come esempio negativo a livello di fiscalità. Perché?
Io mi sono trovato a lavorare in Francia proprio nel momento in cui il governo francese decideva un innalzamento molto forte delle accise sui tabacchi. Già allora stimammo sui dati francesi l’elasticità della domanda del tabacco e non era bassa come sosteneva il governo. Noi ci aspettavano che un aumento della tassazione avrebbe indotto i consumatori a ridurre fortemente il consumo di tabacco. Però la riduzione è avvenuta solo sul tabacco legale. Questa è la grande discriminante: in Francia l’incremento forte delle accise, che ha portato ad un forte incremento dei prezzi per i consumatori, ha determinato che diminuisse la domanda di prodotto legale ma aumentasse in maniera esponenziale la quota di prodotto illegale sul mercato. Quindi la Francia è l’esempio tipico degli effetti perversi di cui parlavamo: dove l’effetto negativo è stato sì sulle entrate, ma anche sulla salute dei consumatori che hanno avuto accesso a prodotti illegali, quindi non controllati, e per questo potenzialmente più pericolosi.
Dato quanto finora esposto - che può essere riferito non solo al settore del tabacco, ma rappresenta un esempio applicabile a tutti i contesti - vorrei chiederle quale margine di manovra ha il nuovo governo nella presentazione della legge di bilancio? E quale è il suo auspicio in merito?
Il mio auspicio, dal punto di vista dei tabacchi, è che rimanga inalterata la situazione senza inventare interventi discrezionali che potrebbero alterare in peggio gli equilibri che ci sono e che hanno dato risultati positivi. Se il governo si garantisce ogni anno un ammontare di accise come quello che si è guadagnato quest’anno, credo valga la pena mantenere lo status quo. Per quello che riguarda la legge di bilancio in generale, invece, ritengo che il margine di manovra sia molto piccolo, data soprattutto la situazione d’emergenza su dei fronti importanti: bisogna tener conto del problema dell’aumento del costo dell’energia, della situazione di stagflazione a livello economico (forte inflazione con crescita bassa), per esempio. Credo quindi che gran parte delle risorse del governo dovrebbero andare alle imprese, attraverso contributi che vadano a calmierare l’aumento dei costi dell’energia. Ovviamente poi, si possono fare anche altre scelte politiche su quanto si voglia andare in disavanzo. Come le famiglie, anche lo Stato può scegliere di investire di più, indebitandosi ulteriormente. Però credo che i fatti nel Regno Unito di poche settimane fa devono servire, se non da monito, almeno come insegnamento importante: siamo stati illusi dal fatto che il problema fosse la moneta unica. La storia del Regno Unito, invece, dimostra che qualsiasi banca centrale, indipendente o meno che sia, che fosse chiamata a monetizzare il debito si troverebbe di fronte a dei vincoli forti imposti dai mercati. Un paese indebitato come l’Italia credo che debba fare molta attenzione ad aumentare la spesa pubblica e fare disavanzi di bilancio. E, in quel caso, bisogna indirizzarli verso investimenti che possano portare dei ritorni in termini di produttività e di aumento futuro del Pil. Fare disavanzo per aumentare la spesa pubblica è molto rischioso. Ma credo che il piccolo margine di manovra che il governo ha verrà impegnato per sostenere i cittadini e le imprese per far fronte alle emergenze che ci sono.
Certo un anno fa non era ipotizzabile la criticità del momento storico che stiamo vivendo. Ma, augurandoci un miglioramento futuro, quali dovrebbero essere le priorità della prossima legge di bilancio non di questo, ma dell’anno prossimo?
Uno dei grandi problemi del nostro Paese è il divario di produttività che c’è tra i partner, che sono anche competitor a livello europeo e mondiale. Le nostre imprese devono guadagnare in competitività. Questo vuol dire fare investimenti che migliorino le infrastrutture materiali ed immateriali di questo paese per far sì che le imprese possano sfruttare a pieno il proprio potenziale. Ovviamente c’è un problema di costo del lavoro che impatta sul mondo delle imprese: andrebbe ridotto il cuneo fiscale del costo del lavoro. Ma ancor prima va risolto il gap di produttività tra nord e sud del Paese: come verrà gestita la “questione Meridionale”, sia da un punto di vista strutturale che socio-culturale, farà la differenza.
di Claudia Diaconale