mercoledì 2 novembre 2022
Valorizzare la vocazione agricola della Capitale
Fra le politiche di lungo periodo promosse dall’Ue c’è la grande sfida del “Green Deal”, il nuovo indirizzo politico per l’ambiente con il quale Bruxelles conta di gestire e, forse, superare la problematica dell’inquinamento su scala continentale. Fra le 362 candidature pervenute in risposta al bando europeo “100 Climate-Neutral and Smart Cities by 2030”, c’è anche Roma. La città eterna è stata scelta, insieme ad altre 100 città europee, di cui 9 italiane, per realizzare l’obiettivo strategico della neutralità climatica al 2030. Per tale importante traguardo Bruxelles ha stanziato 360 milioni di euro all’interno del programma “Horizon Europe” al fine di attivare politiche e pratiche virtuose che trasformino le città in centri d’innovazione tecnologica e organizzativa.
E se questo è l’incipit per equipaggiarsi su un panorama d’azione tanto grande, è altresì previsto che dopo il 2023 vengano stipulati con l’Ue i cosiddetti “Climate city contracts”, insieme a partner locali e cittadini, mediante la “Mission platform” che fornirà la necessaria assistenza tecnica, normativa e finanziaria alle città per realizzare i piani d’azione e di investimenti atti a raggiungere la neutralità climatica entro il 2030. Su tale premessa – che apre scenari di opportunità straordinarie – s’innesta l’evento della Seconda conferenza cittadina sull’agricoltura di Roma, che riprende e rilancia quella originaria, peraltro unica e sola, tenutasi ben 44 anni or sono, nel lontanissimo 1978 coraggiosamente promossa dal sindaco Giulio Carlo Argan che, con lungimiranza avanguardista, intuì il valore del rapporto sinergico fra agricoltura e città, fra ambiente e tessuto urbano.
E anche questo secondo appuntamento è stato fortemente voluto, dal sindaco di Roma, Roberto Gualtieri e dall’assessore all’Agricoltura, ambiente e ciclo dei rifiuti, Sabrina Alfonsi, che lucidamente hanno proposto una sintesi fra antiche vocazioni e sfide contemporanee. E infatti Roma è, forse un po’ inaspettatamente per alcuni, il più grande comune agricolo d’Europa, vantando sia all’interno del raccordo – l’anello autostradale che cintura la città – sia nel territorio circostante, numerosissime aziende agricole e spazi verdi. Si tratta di un’eredità che viene da lontano in quanto, fino dalla Breccia di Porta Pia del 1870 la città eterna, gelosamente custodita dai papi, conservava un carattere esclusivamente agricolo e “naturalistico” sviluppatosi nei secoli sopra la Roma dei cesari, ormai ricoperta da ampi sedimenti di terra, campi e pascoli.
Cosicché in epoca liberale prima e fascista poi, la città si è sviluppata per lo più sul centro storico, quello della Roma imperiale che di per sé era già molto grande, con l’unica, significativa eccezione dell’Eur. Successivamente, nel resto del XX secolo l’edilizia residenziale ha seguito, per ragioni economiche, lo sviluppo lungo le vie consolari, lasciando libere a coltivazioni ampi spazi fra una strada e l’altra. Da qui il carattere agricolo della città che ha ispirato i due convegni di allora, come di oggi.
Non casualmente, il sindaco nel suo intervento ha ricordato come “il reticolo naturalistico e idrografico, che ha nella componente agricola una quota così importante, è la cifra della forma della città di Roma e della sua specifica identità di metropoli antica e moderna, urbanizzata, ma anche fondata nell’intreccio inscindibile tra città e campagna che ne fa un caso unico al mondo”. Ha poi aggiunto il primo cittadino. “E quando vado in giro ad esporre il dossier di Expo 2030, questa caratteristica di Roma città agricola è uno degli asset della città che più colpisce e più la rende credibile come candidata, il luogo adatto in cui esporre e invitare tutti i paesi del mondo a confrontarsi su come ripensare il rapporto tra persone e territori, su come considerare la rigenerazione urbana in chiave sostenibile ed in piena integrazione con la Natura”.
Quella della candidatura di Roma come città ospitante dell’Expo 2030 è l’altra grandissima sfida che attende la Capitale, un’opportunità che si completa con il programma europeo sopra ricordato, in una sintesi armoniosa e propulsiva. In termini più generali, è prioritario, anzi incombente, riuscire a raggiungere nell’era della Globalizzazione quella sintesi fra il tessuto urbano, (oramai le città sono divenute megalopoli invivibili di decine di milioni di abitanti, specie nei paesi asiatici ed emergenti), con il contesto agreste, ossia con l’ambiente rurale che pervade e circonda la Capitale.
Quindi, una campagna non più scissa dall’Urbe, o, peggio, aliena alla città, ma che ad essa sia profondamente interconnessa, consentendo il superamento di quella dicotomia che era nata in Europa con la seconda rivoluzione industriale e che poi aveva trovato pieno compimento nello sviluppo del Secondo dopoguerra. E tale aspirazione si delinea l’azione permetterà alla Capitale di cogliere i due ambiziosi obiettivi che l’Ue vorrebbe estendere a tutte le città del continente, ma che oggi, sono alla portata di poche: raggiungere la neutralità climatica entro il 2030 e le zero emissioni entro il 2050.
Nella sua relazione, l’assessore all’Agricoltura, Ambiente e Ciclo dei Rifiuti la signora Alfonsi ha sottolineato come “l’agricoltura urbana sia il naturale strumento di contrasto al consumo del suolo ad uso edilizio. Roma ha, purtroppo, il primato tra le grandi città in Italia con una media di 90 ettari ogni anno, e le oltre 150 esperienze di orti urbani rappresentano un baluardo alla cementificazione selvaggia. Ecco perché l’Amministrazione comunale sta puntando molto sul settore agricolo attivando una pluralità di iniziative volte alla valorizzazione e al rilancio del settore.
“Inizialmente – spiega l’assessore – si è ripreso un programma di convenzioni con le associazioni del settore, dando così attuazione al regolamento comunale del 2015 rimasto nel cassetto. Inoltre, nell’intento di potenziarne il valore economico e le opportunità per nuova occupazione è stata costituita una direzione agricoltura con uno Sportello di servizio a disposizione degli agricoltori, affinché gli investimenti sulle aziende agricole vadano orientati sulle direttrici della multifunzionalità e della sostenibilità ambientale. In questo quadro si inserisce il progetto di acquisizione dalla Regione Lazio a favore del Comune di Roma della proprietà delle due più grandi aziende agricole pubbliche del territorio: la Tenuta del Cavaliere e di Castel di Guido”.
“L’obiettivo ultimo è costruire un sistema di co-progettazione e di partenariato con le aziende agricole del territorio che generi un modello economico nuovo per l’agricoltura a Roma, che porti ad accordi di filiera e di distretto, a progetti di agricoltura sostenibile con l’utilizzo delle energie rinnovabili e di modelli circolari per il trattamento dei rifiuti”.
Elemento di grande importanza è il carattere pubblico-privato dell’iniziativa nella quale gli investimenti pubblici, cioè i soldi di noi tutti contribuenti, non sono sparpagliati a pioggia, ma indirizzati secondo criteri predefiniti e indirizzi di spesa molto ben individuati.
Infine, l’assessore, la signora Alfonsi ha sottolineato “il valore sociale dell’impresa agricola quale fattore di inclusione sociale e di tutela ambientale del territorio: promuovere, da parte dell’Amministrazione capitolina, grazie alla collaborazione con Arsial (Agenzia regionale per lo sviluppo e l’innovazione), la definizione di un bando per l’assegnazione di terre pubbliche a nuova imprenditoria agricola che agevoli soprattutto i giovani con un accompagnamento formativo e tecnico. Tale importante, coraggiosa iniziativa, che ha il sapore di antiche battaglie socialiste nell’epoca liberale, nel presente contesto, è volta a raggiungere nel medio lungo periodo obiettivi molto concreti: puntare sul biologico, sulla biodiversità delle colture, l’utilizzo diffuso delle fonti rinnovabili e la costituzione delle comunità energetiche, l’attivazione su grande scala dell’economia circolare mediante il recupero dell’organico”.
Tenendo presente le finalità ultime dell’Expo e dell’Ue, si nota come le progettualità messe in campo dal Comune si evidenzino ricche di opportunità interessanti e innovative, non solo perché si riscopre e si potenzia un’attività produttiva – agricola in questo caso – già secolarmente presente nel territorio che sarebbe certamente decaduta se non valorizzata, ma altresì perché si dà nuovo slancio all’occupazione con l’immissione di nuove giovani leve, e si rifonda la circolarità e mutualità del rapporto città-campagna.
Quest’ultimo è un punto strategico che può fare la differenza, specie in questi tempi di alta inflazione dovuta al “caro-energia”. In effetti, vista la strategica ubicazione delle aziende è possibile sia una vendita diretta per la ristorazione (pubblica o privata) o di prossimità presso l’intera utenza cittadina (si ricorda che Roma è la sola città d’Europa che ha ancora funzionanti all’incirca un centinaio di mercati rionali), potendo, nel contempo, offrire prodotti a “chilometro zero” a prezzi molto competitivi o, addirittura, ribassati. E tale processo porterà, lentamente, alla rivitalizzazione di tale storica vendita al dettaglio, entrata in crisi negli ultimi due decenni e mezzo con il fiorire degli ipermercati e con l’abbattimento delle regole della concorrenza ordinata (totale libertà negli orari di apertura e chiusura, superamento del limite di prossimità per l’apertura dei locali dello stesso tipo, iper-semplificazione delle licenze per la vendita di cibo).
Inoltre, con l’affidamento delle terre e la specificazione delle colture è possibile conservare e attualizzare un insieme di coltivazioni “antiche” che fanno parte della gastronomia tradizionale romana e regionale in genere, e che stanno scomparendo. Questo è un punto fondamentale perché con tutta probabilità non saranno possibili coltivazioni come il grano, cereali, soia che necessitano di appezzamenti di grandi o grandissime dimensioni per poter essere competitivi. Si privilegeranno, invece, coltivazioni classiche come la vite, l’ulivo per le quali – cosa non da poco – è già presente un marchio Igp che aspetta solo di essere valorizzato.
Non solo, ma il processo sinergico con la città si rafforza e si accresce con il recupero dell’umido scartato nelle normali fasi di preparazione, cottura e consumazione dei cibi. Esso può essere reintrodotto piuttosto agevolmente nell’azienda agricola comunale ed essere utilizzato per produrre compost e biogas, fornendo così terriccio e, soprattutto, energia per impieghi di lavorazione, come riscaldamento dei terreni e/o delle stalle, ovvero di fornitura elettrica, magari da integrare con una produzione propria, derivante dal locale impianto fotovoltaico.
Disponendo di un territorio ed un’utenza come quella capitolina, l’autonomia energetica per le aziende agricole non solo sarà possibile, ma anche competitiva. Le potenzialità che si intravvedono sono allora davvero tante e tutte, se correttamente alimentate, possono contribuire al rilancio non solo del settore, ma anche e soprattutto alla vittoria dell’Urbe millenaria nella sfida dell’Expo 2030, vera pietra miliare per la caratterizzazione economica e infrastrutturale della Capitale fin’oltre la metà del XXI secolo.
di Pierpaolo Signorelli