Sovranità o sicurezza alimentare?

lunedì 31 ottobre 2022


La nuova denominazione del ministero un tempo delle Politiche agricole, alimentari e forestali (Mipaaf), ora dell’Agricoltura e della Sovranità alimentare, sta suscitando ad un tempo curiosità, ironia e qualche perplessità tra gli osservatori. In realtà questa denominazione del Dicastero di via XX Settembre non è del tutto nuova, ricalcando alla lettera quella dell’omologo francese (Ministère de l’Agriculture et de la Souveraineté alimentaire), peraltro espressione di un Paese autosufficiente sul piano alimentare e tradizionale esportatore di prodotti agricoli. L’Italia, al contrario, ha una bilancia agroalimentare storicamente in passivo, ed anche l’export di trasformati “made in Italy” si fonda in molti casi (si pensi a pasta, formaggi, salumi e olio, non a vino e riso, comparti in cui siamo esportatori netti) su importazioni destinate ad integrare una produzione nazionale di materie prime quanti-qualitativamente insufficiente. In ogni caso andrà prestata molta attenzione alla declinazione che il ministro Francesco Lollobrigida ed il suo staff vorranno dare al concetto di “sovranità alimentare”, in effetti esposto a varie interpretazioni.

Alcuni osservatori prevedono un cambio di rotta rispetto alla condotta del nostro ministero spesso pedissequamente allineato nei confronti di Bruxelles, delle sue politiche di smantellamento dell’agricoltura produttiva in nome di un “malinteso ambientalismo” e di svalutazione del capitale agroalimentare comunitario. Altri come Carlo Petrini, “guru” di Slow Food, pensano che la “sovranità alimentare” sia “la stella polare per affrontare la rigenerazione dell’agricoltura nel mondo”, proprio attraverso politiche di impronta pauperista e ulteriormente dirigista. La realtà, come evidenziava da questa tribuna l’amico Dario Casati solo qualche mese fa, è ben diversa. Ciò che serve è la presa di coscienza di un oggettivo problema di “sicurezza alimentare”, insito nell’aumento dei fabbisogni di una popolazione mondiale in crescita a fronte di risorse (suolo, acqua, aria) non incrementabili né riproducibili. Problema che la sequenza di emergenze (sanitaria, bellica e climatica, con la siccità del 2022) ha reso drammaticamente evidente anche per i Paesi “ricchi” come quelli della vecchia, opulenta ed un poco torbida Europa.

Perciò, se il termine “sovranità” sarà declinato in chiave moderna, ovvero come obiettivo di sicurezza alimentare nell’ambito di un sistema di mercato, e quindi in termini di apertura all’innovazione scientifica e tecnologica al servizio dell’efficienza e della produttività delle nostre imprese agricole e agroalimentari, la cosa avrà una valenza positiva. E potrà stimolare quel processo di “intensificazione sostenibile” senza il quale la sfida alimentare non può essere vinta. Al contrario, se sarà declinato in termini di pauperismo, di nostalgia di “antichi saperi ed antichi sapori” conditi di povertà e di deprecabili derive “autarchiche”, produrrà danni forse irreparabili.

Auguriamo dunque buon lavoro al ministro Lollobrigida, atteso nelle prossime settimane da due significativi banchi di prova: la definizione del Piano strategico nazionale di attuazione della politica agricola comune, che si auspica attenui l’impronta dirigista indicata da Bruxelles, e la correzione del cosiddetto “regolamento taglia agrofarmaci” che vorrebbe imporre in particolare all’Italia una riduzione tecnicamente irrealistica ed insostenibile nell’uso di strumenti comunque indispensabili alla protezione delle colture, e quindi alla realizzazione di quella “sovranità alimentare” che a parole si dice di voler difendere.

(*) Società Agraria di Lombardia


di Flavio Barozzi (*) e Luigi Mariani (*)