I risvolti applicativi del decreto Aiuti nell’operatività delle stazioni appaltanti

domenica 30 ottobre 2022


Il galoppante aumento dei prezzi dei materiali, che sta incidendo sempre più sulla stabilità finanziaria delle imprese, è la principale ragione delle varie misure adottate in materia di appalti pubblici. Lo scorso maggio è stato, infatti, approvato il cosiddetto “decreto Aiuti” recante misure urgenti in materia di politiche energetiche nazionali, produttività delle imprese e attrazione degli investimenti, nonché in materia di politiche sociali e di crisi ucraina. Il provvedimento ha avuto la finalità di intensificare le azioni di contrasto alla crisi economica anche attraverso la creazione di nuovi strumenti. Di rilievo si mostrano, in tale prospettiva, il calcolo del contributo economico sull’intero ammontare dell’opera, la compartecipazione dell’impresa all’aumento dei costi e l’utilizzo dei prezzari regionali al fine di assicurare la valorizzazione degli extra-costi alla luce delle specificità locali.

In particolare, l’articolo 26 del suddetto decreto ha previsto, in relazione ai soli appalti pubblici di lavori aggiudicati sulla base di offerte presentante entro il 31 dicembre 2021 e per le lavorazioni eseguite e contabilizzate/annotate dal primo gennaio al 31 dicembre 2022, l’applicazione, anche in deroga alle clausole contrattuali, dei prezzari regionali aggiornati per il 2022 in via straordinaria. I maggiori importi derivanti dall’applicazione dei prezziari aggiornati sono riconosciuti dalla stazione appaltante nella misura del 90 per cento, entro i limiti delle risorse a disposizione specificamente individuate dalla norma ovvero, in caso di insufficienza e quindi in via sussidiaria, nei limiti delle risorse trasferite alla stazione appaltante dal Fondo di “adeguamento prezzi” istituito presso il Mit. Benché appaia, a una prima lettura, pacifico che la norma si applichi a tutti i soggetti tenuti all’osservanza della normativa del Codice degli appalti pubblici, la stessa mostra criticità interpretative nella misura in cui nel descrivere le “risorse” a cui attingere per garantire il riconoscimento di maggiori importi agli appaltatori, sembra riferirsi tipicamente alla contabilità delle pubbliche Amministrazioni, ponendo così in difficoltà tutte quelle stazioni appaltanti che pubblica amministrazione non sono.

In altre parole, le stazioni appaltanti che seguono una contabilità privatistica e che intendono aderire al Fondo, perché prive di risorse proprie, incontrano serie problematiche applicative. Pertanto, nel caso in cui si ritenga che la norma si applichi indistintamente a ogni stazione appaltante, a prescindere dalla sua qualifica di Pubblica amministrazione occorre che i soggetti deputati forniscano tempestivi chiarimenti su come interpretare correttamente le previsioni in materia di risorse utilizzabili, così da consentire alle stazioni appaltanti, laddove ne ricorrano i presupposti, di accedere alle risorse del Fondo e far fronte alle richieste delle imprese.

Infatti, non si può non considerare che i tempi e la difficile messa in atto delle varie misure previste mal si conciliano con la perdurante “emergenza costi”. Il rischio che si potrebbe, dunque, registrare è un progressivo indebolimento delle disponibilità finanziarie delle imprese e il fallimento degli obiettivi di ripresa economica.


di Ilaria Cartigiano