sabato 1 ottobre 2022
L’emergenza rincari delle utenze, per le imprese e le famiglie italiane, è il primo, in assoluto, problema che dovrà cercare di risolvere il nuovo Governo quando si insedierà. Probabilmente i tempi saranno relativamente lunghi a causa dei rituali propedeutici alla nascita del nuovo esecutivo. Sono veri e propri bizantinismi che in tempi difficili come questo non ci potremmo permettere.
Senza ipocrisia, il nuovo Governo dovrà prendere atto che lo Stato, nelle condizioni delle finanze pubbliche, non ha risorse per contenere il problema. Il primo atto dovrà essere un messaggio chiaro e inequivocabile: sono finiti i tempi delle “vacche grasse”. Non è possibile indebitare ulteriormente il Paese nella prospettiva di un periodo di deflazione. Il lascito del “Governo dei migliori” è una situazione dei conti pubblici che necessita senza indugio di un cambio di rotta. Il super tecnico “che il mondo ci invidia” ha fatto la classica politica pre-elettorale. Per affrancarsi il sostegno alla sua candidatura alla Presidenza della Repubblica ha utilizzato le risorse generate da una crescita economica dopata: dalle provvidenze pubbliche in generale, e in particolare dal cosiddetto Superbonus del 110 per cento e dal Reddito di cittadinanza.
Più che un “tesoretto” il Governo Draghi, in continuità con il Conte 1 e il Conte 2, lascerà al nuovo esecutivo una situazione che riduce al minimo gli spazi di manovra. Il nuovo esecutivo si troverà una Nadef – Nota di aggiornamento al documento di economia e finanza – che prevede un ottimistico incremento del Prodotto interno lordo dello 0,6 per cento, quando i principali istituti di ricerca prevedono, come più probabile, la crescita zero o addirittura un Pil negativo per il 2023.
Il vero tesoro che potrebbe utilizzare il nuovo Governo è il cosiddetto “magazzino fiscale”, che ammonta nominalmente ad oltre 1000 miliardi di euro. I crediti fiscali vantati dall’Erario sono in larghissima parte inesigibili. Tuttavia, c’è una parte che potrebbe essere riscossa per far fronte alle emergenze, senza ricorrere a nuovi scostamenti di bilancio che significano ulteriore debito dello Stato.
Le piccole e medie imprese che hanno debiti fiscali e contributivi si troveranno davanti ad un bivio: chiudere le loro attività per l’impossibilità oggettiva di pagare le imposte e i contributi o cercare di tenere in vita imprese che sono la struttura portante del nostro sistema produttivo. Sono aziende che hanno dichiarato il reddito prodotto, ma non sono state in grado di pagarle. Le esorbitanti sanzioni, le spese di notifica e gli interessi applicati, hanno fatto lievitare il debito fino a farlo in molti casi raddoppiare. Piuttosto che lavorare per l’Erario preferiscono portare al fallimento le loro imprese. In molti casi è oggettivamente impossibile saldare il debito maturato nei confronti dell’Agenzia delle entrate e degli enti previdenziali.
Se venissero applicate in maniera pedissequa le norme previste sulla gestione della “crisi d’impresa e dell’insolvenza” molte aziende dovrebbero ex lege chiudere. Sarebbe dirimente il ricorso ad un Condono tombale definitivo come quello del 2002 che ha risolto in maniera definitiva le pendenze con l’Erario-Agenzia delle entrate che altrimenti ti seguirebbe a vita. Il ricorso a strumenti come la “pace fiscale” o l’allungamento delle rateizzazioni non sono risolutive in quanto ne farebbero ricorso solo una minima parte dei soggetti indebitati. L’incasso da parte dello Stato potrebbe essere tale da risolvere il problema della Legge di stabilità. La crisi dell’energia è momentanea e presto o tardi sarà sicuramente superata, quindi rateizzare le bollette può contribuire a risolvere solo momentaneamente il problema. Il debito verso l’Erario è “sine die”!
di Antonio Giuseppe Di Natale