mercoledì 28 settembre 2022
Parafrasando la commedia di William Shakespeare, possiamo adattare il suo significato alle tante voci funeste che prima e dopo le elezioni politiche si sono affannate a prevedere malanni, tempeste monetarie e politiche sulla nuova maggioranza di destra che le urne hanno consegnato alla nostra storia, come espressione della volontà popolare. Le prefiche di turno, i giornali e la classe politica di oggi, come quelle donne che nell’antica Grecia e poi nella Roma imperiale erano chiamate e pagate nelle cerimonie funebri per portare e fare partecipare al dolore, hanno innalzato alti lai e pianti di fronte a quello che considerano un dramma per i loro interessi, senza capire la storia e le sue correlazioni.
Allo stesso modo, infatti, prima delle elezioni sui giornali di parte venivano anticipate le irritate reazioni di Paesi, persone e i possibili drammi finanziari, specie negli Usa e nell’amata Unione europea, con la mancanza di una visione più realistica della storia, lontana dall’equilibrio necessario per capire e pensare al vero senso di un cambiamento che avrebbe, al loro sentire, sovvertito l’ordine nazionale e quello più ampio della civiltà occidentale chiaramente in un declino che senza un nuovo spirito collaborativo sembra inesorabile.
Il richiamo al prossimo danno era la rimembranza dei dissesti finanziari che avevano colpito il Paese nell’autunno del 2011, dimenticando gravemente e maldestramente che quello era un attacco all’euro, all’Europa in generale, che indeboliva il dollaro, come era stato scritto nel gennaio del 2010 sia sul Financial Time che su Repubblica in merito a un annunciato “assalto” all’euro da parte degli hedge fund con un massiccio uso di futures. L’attacco non poteva essere fatto direttamente al troppo forte euro, per cui si rendeva necessaria una strategia periferica simile a quella che gli alleati avevano fatto con Adolf Hitler (Sicilia, lo Stivale, Normandia). Così la prima a subire una “aggressione” è stata la debole Grecia, poi il Portogallo, l’Irlanda e in agosto la Spagna. Trascorso l’anno, una serie di episodi preparano l’offensiva all’Italia. Il primo fatto strano è la “carica” a Dominique Strauss-Khan che viene costretto alle dimissioni per un qualcosa che solo due mesi dopo sarebbe stato dichiarato inesistente. Strauss-Khan, come presidente del Fondo monetario internazionale, suggeriva di aiutare la Grecia, il Portogallo, l’Irlanda e la Spagna. Un’indicazione troppo “competitiva” per i giochi di guerra della finanza. L’Italia subisce il “blitz” con un innalzamento improvviso e non giustificato dello spread. Dopodiché segue il rating e il collasso del Governo. Solo pochi mesi dopo il debito sarebbe salito, il Pil crollato e il rating peggiorato. Eppure, magicamente, lo spread sarebbe disceso: il tutto contro un minimo di razionalità evidente.
Oggi questo quadro non è ripetibile, perché gli Usa sono in declino, incapaci di affrontare una fase di recessione come tutti i commentatori convengono. E non possono rischiare di tornare a giocare a domino, come nel 2011. L’Europa è in un equilibrio instabile in merito alla posizione sulle sanzioni alla Russia, l’Ungheria propone un referendum, la Gran Bretagna è di fronte al crollo della sterlina, l’euro e l’economia del Vecchio Continente si sono indeboliti a favore degli Stati Uniti. Non è il tempo di sfidarsi a Monopoli e il mondo della finanza non può permettersi di giocare con il fuoco. L’Italia rappresenta un nodo importante nello sfilacciato legame che tiene a stento unita l’Europa, dove diversi Paesi fanno i loro interessi a scapito del bene comune. Il gioco è, a parere di chi scrive, troppo pericoloso, perché ci stiamo muovendo su una sottile lastra di ghiaccio. Una speculazione avversa dimostrerebbe le finalità, volutamente offensive e strumentali, verso il nostro Stato.
Così la locuzione “tanto rumore per nulla” – diventata un’espressione gergale, che ingrandisce i fatti contro la loro stessa evidenza – può essere un richiamo a pensare la storia, a capire i suoi svolgimenti e a tenere i piedi per terra.
(*) Professore emerito – Università Bocconi
di Fabrizio Pezzani (*)