Ha senso un tetto al prezzo del gas?

giovedì 7 luglio 2022


È oramai esperienza comune come il prezzo del gas abbia avuto nell’ultimo anno una significativa crescita e di come il conflitto in Ucraina abbia sicuramente amplificato l’aumento, galvanizzando la speculazione (+60% a giugno 2022). Di fronte a questa realtà la proposta di mettere un tetto al prezzo del gas può sembrare a tanti una idea capace di bloccare un aumento che appare al momento inarrestabile.

Tuttavia una decisione in tal senso, sebbene sostenuta in primo luogo dagli americani ed in Europa dal nostro presidente del Consiglio, lascia aperte tante domande, anche perché, diciamolo subito, non è chiaro come il sistema possa funzionare e, soprattutto, quali conseguenze possa avere, prima tra tutte, quella (non tanto assurda in un periodo di guerra) che i maggiori produttori del bene non accettino il prezzo e, dunque, non vendano il prodotto.

Ma vediamo se il provvedimento di stop ai prezzi del gas possa essere una mossa efficace contro gli speculatori che, va ricordato, sono prevalentemente in Occidente. In primo luogo ricordiamo che domanda e offerta delle materie prime, come il gas e il petrolio, attirano l’interesse sia degli investitori industriali che di quelli finanziari che investono (i primi) nei processi di produzione e distribuzione, e i secondi sia nei primi ma anche nell’acquisto e vendita (intangibile) delle materie prime. Va da sé che il comportamento dei primi aumenta o diminuisce il prezzo gradualmente, l’atteggiamento dei secondi può far crollare o schizzare verso l’alto il prezzo in pochissimo tempo (come nel caso del gas). 

Ora nel mercato reale (o naturale) delle materie prime il prezzo è determinato dal rapporto tra la domanda e l’offerta ed, in particolare, dai costi di produzione. Nel caso del gas si tratta degli investimenti per identificare i giacimenti, i costi di estrazione, le infrastrutture per la distribuzione e la gestione. Per altro verso, una volta arrivato al mercato (naturale) il prezzo del gas sale e scende in funzione della domanda di chi lo compra, sia esso il gestore della rete, sia il consumatore finale. Le materie prime, tuttavia, sono anche negoziate sui mercati finanziari internazionali (le borse delle materie prime) dove oltre ai consumatori ed ai produttori si presentano anche soggetti nuovi.

Alcuni (trader) influenzano le dinamiche di domanda e offerta intermediando tra chi produce e chi compra. Essi, infatti, hanno interesse a operare per comprare a poco e vendere a tanto. Altri, invece, scommettono sul prezzo futuro comprando (virtualmente) quantità più o meno importanti di gas che poi rivenderanno ad altri compratori. Scommettono sulla base di esperienza e conoscenze del mercato delle materie prime e dei fattori che lo influenzano (clima, guerre, domanda, etc.) e, a loro volta, hanno interesse a influenzare questi fattori per spingere il prezzo in alto.

Scommettono di comprare a poco e vendere a tanto e lo fanno sottoscrivendo contratti con il prezzo che la merce avrà in un preciso momento nel futuro. La loro scommessa è finanziata (e assicurata) da tanti altri investitori che gli prestano danaro perché credono nella bontà delle loro scelte. 

In questa fase storica la speculazione del mercato finanziario sembrerebbe favorire non l’intera filiera del gas, come naturalmente dovrebbe essere, ma solo i mercati finanziari e qualche operatore. Ciò convince i più che sia necessario un qualche intervento per far sì che gli investimenti di tutti gli operatori ed il potere di acquisto dei consumatori (vale a dire dei cittadini) sia tutelato. 

Su tale presupposto alcuni ritengono che sia sufficiente mettere un tetto al prezzo del gas. Tuttavia, il problema (non da poco) è che la proposta che circola non chiarisce affatto come e, soprattutto, dove lungo la complessa filiera di soggetti che partecipano al mercato del gas si possa applicare il tetto. La questione non è da poco, perché potrebbe avere effetti dirompenti sull’offerta.

Perché allora non si discute delle altre possibili situazioni? Esse certamente non mancano; in effetti, è noto che per contrastare la speculazione sulle materie prime alcuni governi hanno praticato strade diverse, come, ad esempio in India, dove si è provveduto a bloccare parzialmente le esportazioni di grano e zucchero e, in Indonesia dove, per un mese intero non si è esportato olio di palma. In tal modo questi Paesi hanno pensato di far scendere il prezzo, scoraggiando la speculazione influenzata dal mercato internazionale. Altri pensano, invece, ad una tassa (del 10%) sui profitti che derivano dal maggiore prezzo che si forma sul mercato (interno) rispetto al prezzo di ingresso. La scelta, sebbene sembra condivisibile, può poco se il prezzo in ingresso è già alto. 

A ben pensare, tuttavia, tutti questi interventi di breve respiro non colpiscono al cuore il problema. In realtà gli interventi vanno fatti sulla filiera dell’offerta ed in particolare nello snodo dove effettivamente si annida la speculazione, addirittura con il concerto dei Paesi offerenti.

Viceversa, non resta che far fare al mercato e, statene certi, non vedremo che cadaveri finita la tempesta.

(*) Direttore del Dipartimento di Scienze politiche di Unipace-Roma, delegazione per il Mediterraneo di UniPeace-N.U.


di Enea Franza (*)