La siccità miete il grano

mercoledì 22 giugno 2022


La produzione che cala, i costi che crescono. E l’acqua che manca. Le Regioni e le associazioni di categoria ormai denunciano all’unisono l’allarme siccità. Da una parte il Governo, che è al lavoro per redigere il decreto che possa contrastare la problematica. Dall’altra le dichiarazioni di Andrea Costa, sottosegretario alla Salute, che nota: “Credo ci siano le condizioni per arrivare a dichiarare lo stato di emergenza”. Nel mezzo, chi deve portare a casa la pagnotta. E, nella fattispecie, l’operazione è sempre più ardua. Prendiamo il caso del grano: il raccolto registra un taglio del 30 per cento, almeno stando alle stime fotografate nel Centro-Nord nei primi giorni di trebbiatura. A ciò va aggiunto il rincaro di fertilizzanti (170 per cento) e del gasolio.

Cristiano Fini, presidente di Cia-Agricoltori italiani, non fa troppi giri di parole: “L’assenza di precipitazioni nel periodo primaverile e le alte temperature che hanno anticipato la maturazione anche delle varietà tardive di frumento hanno provocato cali produttivi davvero ingenti e una qualità non ottimale. Dalle prime stime – sottolinea – la media sembra essersi attestata sui 45-50 quintali/ettaro, ben al di sotto dei 70-75 degli anni scorsi. Le produzioni del 2021 registrano buone quotazioni nelle borse merci, ma questo consente solo parzialmente alle aziende di far fronte ai costi di produzione fuori controllo”. Insomma, “con medie produttive così basse – segnala Fini – la marginalità sarà ai limiti della sussistenza e molti coltivatori potrebbero decidere di non seminare grano in autunno, con il risultato di una dipendenza ancora maggiore di materie prime agricole dall’estero, proprio nei mesi della crisi dell’import del grano durante il conflitto russo-ucraino”.

La crisi idrica

La questione è seria. Per esempio, lo stato dell’arte da “bollino rosso” del bacino padano ha come cause le precipitazioni sotto la media (perfino del 70 per cento, in alcuni casi anche siccità assoluta per tantissimi giorni) oltre a un inverno senza neve: “Una situazione così sarebbe eccezionale anche ad agosto, il quadro è preoccupante e va affrontato con misure eccezionali – ribadisce Fini – serve un intervento rapido del Governo, per rispondere all’emergenza, da una rete di piccoli invasi a grandi impianti di desalinizzazione dell’acqua di mare, utilizzando in maniera efficiente ed efficace i fondi del Pnrr. Sono, inoltre, necessari nuovi strumenti di assicurazione, perché quelle che un tempo erano anomalie climatiche oggi stanno diventando la cronaca di tutti i giorni”.

Che succede?

Stefano Patuanelli, ministro delle Politiche agricole, nel frattempo fa il punto: “Da un lato c’è necessità di garantire che l’attività della Protezione civile possa esplicarsi in modo coordinato in tutte le Regioni, anche per l’abbeveraggio del bestiame per quanto riguarda l’agricoltura. In più – va avanti – c’è la possibilità di intervenire per la razionalizzazione degli usi idrici, ma già le Regioni e le Autorità di bacino possono farlo. Lo stato di calamità, invece, ci consente di superare i limiti della 102, cioè della norma che consente di intervenire soltanto in deroga sui danni assicurabili. Al momento preoccupano il mondo agricolo soprattutto le colture di mais e soia, ed è in forte sofferenza il riso. Un po’ meno preoccupazioni per il grano tenero e duro che anzi ha maggiori possibilità di stoccaggio per la stagione autunno/inverno per l’assenza di umidità. In generale – chiosa – il Sistema Paese non ha brillato sul tema per infrastrutture e per le competenze ripartire in tre ministeri, quello Infrastrutture e Trasporti, il Mite, e in parte il Mipaaf. E ciò non agevola il coordinamento degli interventi per una tenuta del sistema idrico nazionale anche in un momento di siccità”. E intanto Giuseppe Ferro, amministratore delegato del pastificio “La Molisana” di Campobasso, interpellato dall’Ansa, annuncia: “I cambiamenti climatici continuano a fare grandi danni, la diminuzione nelle aree vocate alla produzione di grano duro si attesta, al momento, tra il 25 per cento e il 30 per cento. Siamo comunque in attesa dei dati completi di tutte le Regioni, per avere un quadro più chiaro della situazione”. Nello specifico, per la produzione della pasta l’azienda utilizza solo grano italiano, coltivato in Molise, Marche, Puglia, Lazio e Abruzzo. Ovvero “aree naturalmente vocate alla produzione cerealicola grazie al clima particolarmente favorevole”.


di Tommaso Zuccai