La Fed e l’asino di Buridano: inflazione o recessione?

venerdì 17 giugno 2022


La Fed (Federal Reserve) a fronte delle scelte che deve fare rappresenta, oggi, il paradosso dell’asino di Buridano, che incapace di scegliere tra due mucchi di fieno uguali accompagnati dalla stessa quantità di acqua, finisce per morire di fame e di sete. Il paradosso rappresenta il dilemma a cui si trova di fronte la Fed, perché qualunque decisione possa prendere o sia in grado di prendere – alzare o mantenere invariati i tassi sul debito o aprire alla recessione probabile – il problema di un rischio sistemico di default finanziario non viene risolto ma solo differito. Il pensiero unico monetarista eretto a verità incontrovertibile, grazie a un sistema di relazioni tossiche tra accademia, politica e finanza, ha finito per divorare se stesso esattamene come Saturno divorava i propri figli, inondando di una liquidità senza un controvalore reale il mondo della finanza, separandola totalmente dall’economia reale a cui dovrebbe, invece, sottostare.

Dal momento in cui la moneta è stata separata dalla convertibilità in oro nel 1971, il mondo della finanza ha seguito un suo percorso di sviluppo astrale ma funzionale a sostenere interessi sovraordinati al mondo reale, assumendo un ruolo di Governo funzionale all’esercizio di una forma di “macrousura” geopolitica. La Fed, in tutto questo, ha avuto gravissime responsabilità delle quali dovrebbe essere chiamata a rispondere rispetto all’uso spregiudicato del capitalismo finanziario che, dopo avere spolpato l’economia reale, ha gettato gli Usa e il mondo nel turbine della tempesta monetaria, con una stampa infinita di moneta fiat cioè senza sottostante reale. Infatti, dopo la crisi del settembre 2008, l’unica soluzione è stata affidata alla trappola mortale del Quantitative easing (Qe), che ha aumentato la massa monetaria ma non ha prodotto effetti sulla reale crescita del Paese, che in mancanza di una vera attività manifatturiera delocalizzata è diventato ostaggio degli indici finanziari e della moneta in una logica di breve tempo che distrugge ma non costruisce tipico della sindrome della locusta.

L’aver aiutato le cinque banche dal default – too big, to fail – ha di fatto cancellato tutte le norme contro il monopolio aprendo la strada all’infinita finanza. I risultati della finanza deregolamentata si riflettono in una situazione di rischio default socioculturale senza precedenti espressi dai seguenti fatti: 1) finanziarizzazione dell’economia reale e concentrazione della ricchezza sempre più polarizzata verso l’alto, crollo della classe media che è il lievito delle civiltà occidentali; per la prima volta da un secolo le famiglie della classe media non sono più la maggioranza del Paese. Amplificazione fuori controllo di una povertà senza sistemi di welfare (il 18 per cento del Pil rispetto alla media europea del 30 per cento); 2) crollo dell’occupazione manifatturiera (11 per cento del Pil) a favore di quella dei servizi (23 per cento del Pil), conseguente crescita della disoccupazione mascherata con la sottoccupazione che manifesta un progressivo crollo delle rendite delle famiglie (la caduta dei salari fino all’80 per cento), un conseguente calo dei consumi e un crescente disagio sociale represso con violenza; 3) esplosioni di strumenti non regolati come i derivati e gli Otc il cui volume sembra superare un milione di miliardi che manipolano il mercato ed oggi  condizionino i prezzi delle materie prime; 4) cultura della liquidità a breve e massimizzazione dei valori finanziari tramite una sistematica manipolazione dei dati. La crescita del Dow Jones è determinata dal buy-back delle multinazionali che comprano con i profitti (circa il 95 per cento degli stessi secondo Bloomberg) e a debito con tassi infimi le loro azioni, alterandone il vero valore ed aumentando la massa di liquidità a debito che sostiene il gioco speculativo. L’aumento del valore delle azioni e l’illusione fittizia della crescita sono stati determinati almeno, per il 50 per cento, dalle operazioni di buy-back (fonte: Morgan Stanley).

Siamo di fronte a una trappola mortale, perché la ricerca della scelta sembra difficile tanto da sollevare dubbi profondi sulle decisioni della Fed legate all’idea di tenere sotto controllo l’inflazione, che dipende solo in parte dalla domanda ma soprattutto dall’esplosiva quantità di carta moneta, che ha inondato senza limiti i mercati finanziari; per contro, si solleva il rischio della recessione. A parere di chi scrive, i due fenomeni sono legati e non esiste una sola via di fuga quando il sistema nel suo complesso sta collassando. La Fed sembra sempre più l’asino di Buridano e si trova alle prese con un dilemma “cornuto”, perché qualsiasi decisione non modifica l’entropia del sistema che hanno generato.

Un direttore di Hedge Fund, Nick Hanauer, ha chiaramente detto: “Se non facciamo nulla per risolvere le evidenti ingiustizie economiche, verranno a cercarci con i forconi. Nessuna società può sostenere questa crescente disuguaglianza, non c’è nessun esempio nella storia dell’uomo in cui sia stata accumulata ricchezza a questo modo ed alla fine non siano arrivati i forconi”.

È proprio vero, perché nella storia dell’uomo le società sono sempre e solo crollate per guerra o per classe. E gli Usa sono l’unico Paese occidentale che non ha vissuto una vera rivoluzione sociale. Alla luce delle precedenti considerazioni, non è casuale che molti ritornino a studiare il “plusvalore” di Karl Marx e il buon senso di John Maynard Keynes. Così, oggi, l’asino di Buridano/Fed rischia davvero di morire incapace di decidere perché la verità sta in un altro campo.

(*) Professore emerito - Università Bocconi


di Fabrizio Pezzani (*)