Salario minimo: nemico del povero

venerdì 10 giugno 2022


Tra i vari tipi di interventismo politico nella vita economica, gli aumenti della paga oraria, giornaliera o mensile sono tra i più applauditi. Fanno appello non solo all’interesse personale ma anche al senso di “equità” e di “dignità” dei lavoratori. La legge per il salario minimo appena approvata dalle autorità del Vecchio Continente è stata definita una tappa importante per l’Europa sociale. Chi, dopotutto, potrebbe essere contro una somma minima per vivere decentemente? Purtroppo, qualsiasi buona intenzione, se guidata dall’errore e dall’ignoranza, porta a esiti contrari a quelli previsti e questa legge sul salario minimo non fa eccezione. L’imposizione di un importo minimo legale che i datori di lavoro devono pagare condanneranno i dipendenti marginali alla disoccupazione cronica. Ciò sembra paradossale: ma basta qualche riflessione al riguardo.

Esaminiamo prima il problema dal lato delle imprese. Il tasso di disoccupazione tende a essere direttamente proporzionale all’eccedenza del costo del lavoro rispetto alla produttività. Più alti sono i salari, maggiori sono i costi di produzione. Così maggiori sono i costi di produzione e maggiori sono i prezzi. Più alti sono i prezzi, minori le quantità di beni e servizi venduti, minore l’occupazione nella produzione. Solo grandi aziende consolidate saranno in grado di resistere a un aumento obbligatorio della retribuzione. Un’azienda che ha già una grande quota di mercato e costi unitari inferiori, grazie a economie di scala, sarà in grado di sopravvivere rispetto a un’azienda che ha una piccola quota di mercato. Le piccole e medie imprese, creatrici in ogni Paese del futuro economico e della crescita di occupazione, perderanno sempre più terreno. Le grandi aziende, invece, potendo aumentare i prezzi, resisteranno, vanificando però, allo stesso tempo, il vantaggio del salario minimo.

Guardiamo il problema dal punto di vista dei lavoratori. Proprio quelli che dovrebbero essere i beneficiari dal salario minimo si ritroveranno disoccupati. Il motivo è che perderanno il vantaggio competitivo rappresentato dal salario prevalente che li protegge dalla concorrenza dei lavoratori più qualificati. Facciamo un esempio elementare. I lavoratori che guadagnano salari più alti di quelli che lavorano, ad esempio, in un fast food non sono interessati a far domanda in questo settore. Ma se qui il salario viene elevato per legge, allora anche i lavoratori più qualificati saranno attirati dal settore della ristorazione. Chiunque sia disoccupato, infatti, non ha motivo di non fare domanda per un’occupazione anche in un fast food che ora, per legge, dovrà pagare il salario minimo garantito. Poiché è estremamente probabile che i lavoratori disoccupati con più credenziali siano preferiti a quelli disoccupati con meno qualifiche, il salario minimo spingerà la concorrenza del lavoro più qualificato in settori dove prima non c’era, eliminando il vantaggio competitivo dei lavoratori a basso salario che rimarranno disoccupati. Così, con il tempo, nel sistema economico non ci sarà più spazio per i lavoratori marginali, quelli al livello più basso della scala delle competenze. I lavoratori marginali saranno eliminati dal mondo del lavoro. Ciò li priverà dell’opportunità di acquisire competenze e abilità dall’esperienza lavorativa per progredire e ambire, in futuro, a lavori più qualificati.

Ovviamente la disoccupazione causata direttamente e indirettamente dall’aumento del salario minimo richiederà un’ulteriore spesa pubblica per la sussistenza. Quindi maggiori tasse e maggiori disavanzi pubblici a carico di tutti. Il salario minimo è, dunque, una politica contro i poveri in quanto, abbassandone il valore economico, li destina alla disoccupazione. In termini più tecnici, quando il Governo impone un salario minimo legale al di sopra del salario prevalente per vari tipi di servizi di lavoro, minaccia necessariamente l’impiego dei lavoratori il cui valore aggiunto stimato diventa inferiore al salario minimo legale obbligatorio.

Dovrebbe poi essere ovvio che, in un periodo di domanda in calo, anche la richiesta di lavoro non fa eccezione. E prima di tutti saranno messi al bando i lavoratori marginali. Il modo migliore per aiutare i lavoratori a basso salario a guadagnare di più è renderli più produttivi, ma ciò non si ottiene semplicemente dicendo che sono più produttivi perché percepiscono salari più alti. L’aumento di produttività del lavoro è conseguenza della produttività di maggiori investimenti privati. La produttività incrementa l’offerta di beni e servizi rispetto all’offerta lavoro, riducendo così i prezzi rispetto ai salari e aumentandone il potere d’acquisto. Ma tutto ciò presuppone l’eliminazione delle tasse sia per il datore di lavoro che per il lavoratore a basso salario. Invece di invocare fatui e generici principi di “equità” e “dignità”, credendo che i governi possano migliorare il tenore di vita per decreto, si dovrebbe invocare più economia di mercato.


di Gerardo Coco