lunedì 9 maggio 2022
Il tema dei golden powers torna alla ribalta, ora più che mai, grazie a due fattori scatenanti riconducibili da un lato alle tensioni geopolitiche esplose con l’invasione russa dell’Ucraina e, dall’altro lato, ad una sentenza di recente resa dal Tar del Lazio (n. 4488/2022), proprio in merito ad un caso di intervento governativo (la cui bontà è stata confermata) ai sensi della disciplina in questione.
Se, con riferimento al primo profilo, le considerazioni da fare paiono fin quasi ovvie e ormai sintetiche nel voler confermare, ad oggi, la necessità di uno “scudo” verso certi Paesi stranieri – lettura già caldeggiata, in passato, anche dall’Istituto Bruno Leoni (e, cioè, da chi scrive e da Carlo Stagnaro) –, in relazione al secondo aspetto, di portata ben più particolare e tecnica, è bene soffermarsi con più calma per evidenziare quanto segue.
L’intervento della magistratura amministrativa legittima, in sostanza, il potere di intervento del governo nel caso di specie, e si traduce in un chiaro favore verso l’intrusione pubblica – caratterizzata da “amplissima discrezionalità” – in dinamiche private e commerciali. La decisione, finanche condivisibile in quanto a risultato specifico, appare tuttavia sbilanciata se letta in un’ottica di sistema, poiché incapace di sottolineare a fondo quelle perplessità che, come noto, connotano il framework normativo di riferimento. Framework che, in realtà, risulta caratterizzato da un approccio (volutamente?!) non chiaro, oltreché (a mio parere) a tratti non pienamente conforme agli indirizzi europei di riferimento in materia.
Il risultato di quanto precede consiste, anche sulla base dei dati, in una progressiva confusione (e correlato aumento di costi) in capo agli operatori del mercato – che, nel dubbio, procedono con la notifica ai fini della disciplina in discussione – e in una sempre maggiore capacità dell’esecutivo di inserirsi, con potere anche di veto (!), in operazioni societarie di primo spessore per il Sistema Paese. Con chiare conseguenze problematiche in punto interventismo economico e concorrenza.
Che il golden power sia ormai un dato di fatto del sistema economico italiano è cosa nota. Che a tale interferenza con il libero scambio ci si debba arrendere è invece cosa meno scontata. Anche se in tempo di guerra, porre un freno all’utilizzo “smodato” di uno strumento così limitante, riconducendolo solo ed esclusivamente a casi limite (ad esempio nei confronti di Paesi nemici), sarebbe infatti, e ad esempio, il punto ideale da cui ripartire. Il tutto, senza sfociare in facili populismi o in posizioni partigiane e stataliste, di certo non salutari per l’economia nazionale.
(*) Fellow Istituto Bruno Leoni
di Federico Riganti (*)