martedì 19 aprile 2022
“Per cercare di contrastare l’aumento dei costi di produzione bisogna lavorare fin da subito sugli accordi di filiera che sono uno strumento indispensabile per la valorizzazione delle produzioni nazionali e per un’equa distribuzione del valore lungo la catena di produzione”.
Queste le parole del presidente della Coldiretti, Ettore Prandini, sul tema legato al riso del Belpaese. Difatti, come segnalato dall’associazione di categoria, la gravissima siccità e l’aumento record dei costi di produzione provocato dalla guerra in Ucraina stanno mettendo “in serio pericolo” le semine in Italia “dove si ottiene circa la metà del raccolto europeo”. Semine che, secondo le stime, potrebbero essere tagliate di oltre 3000 ettari.
“Si tratta di un settore – hanno commentato dalla Coldiretti – con 227mila ettari coltivati e 3700 aziende agricole che raccolgono 1,5 milioni di tonnellate di risone all’anno, oltre il 50 per cento dell’intera produzione dell’Unione europea, con una gamma varietale unica e fra le migliori a livello internazionale. Uno scenario preoccupante – è stato evidenziato – proprio nel momento in cui i consumi alimentari mondiali potrebbero nel tempo spostarsi in diversi Paesi dal grano al riso, secondo il Dipartimento dell’agricoltura statunitense (Usda) che evidenzia come i mercati cerealicoli globali sono stati colpiti dall’invasione russa dell’Ucraina e dalla la quasi completa cessazione delle esportazioni di grano da quel Paese”.
“All’esplosione dei costi energetici con impatti dal gasolio ai fertilizzanti, va aggiunta – ha proseguito la Coldiretti – la preoccupazione per la grande siccità con i livelli di falda eccezionalmente bassi e il rischio di riduzioni estive della risorsa idrica superiori al 30 per cento, con i livelli del Po scesi a -3,38 metri al Ponte della Becca (Pavia) più bassi che in piena estate e i grandi laghi semi vuoti, con il Maggiore che è ad appena il 28 per cento del suo riempimento e quello di Como a meno del 6 per cento. La mancata disponibilità di acqua pesa nelle fasi inziali di sommersione con il 90 per cento del riso italiano che si coltiva nel triangolo d’ora tra Pavia, Vercelli e Novara, ma la coltivazione è presente in misura significativa anche in Veneto, Emilia-Romagna e Sardegna”.
E ancora: “Le ultime precipitazioni sono state deboli e poco incisive per cui l’area del distretto del Po è ancora in una condizione “estremamente deficitaria” per la quantità di risorsa idrica presente e stimata, secondo l’Osservatorio sulle crisi idriche dell’Autorità distrettuale. Senza dimenticare – hanno insistito dalla Coldiretti – la concorrenza sleale delle importazioni low cost dai Paesi asiatici che vengono agevolate dall’Unione europea, nonostante non garantiscano gli stessi standard di sicurezza alimentare, ambientale e dei diritti dei lavoratori”.
In ultimo, una puntualizzazione sulla tutela dell’ambiente e della biodiversità, poiché “sono 200 le varietà iscritte nel registro nazionale, dal vero carnaroli, con elevati contenuto di amido e consistenza, spesso chiamato “re dei risi”, all’arborio dai chicchi grandi e perlati che aumentano di volume durante la cottura fino al vialone nano, il primo riso ad avere in Europa il riconoscimento come indicazione geografica protetta, passando per il roma e il baldo che hanno fatto la storia della risicoltura italiana”.
di Brigida Baracchi