Dove ci sta portando la transizione ecologica?

lunedì 28 febbraio 2022


L’adesione fideistica dell’Italia, agli accordi sul clima di Parigi del 2015, che prevedevano il raggiungimento di emissioni zero di CO₂ entro il 2050, è stata una decisione che non ha valutato l’impatto economico per il nostro Paese. Purtroppo i nodi vengono al pettine. Siamo uno Stato quasi totalmente dipendente dall’estero per le forniture di gas e petrolio, materie prime che per molti anni ancora saranno le fonti principali per la produzione di energia elettrica. L’Italia è il secondo Paese manifatturiero d’Europa, dopo la Germania, e tra i primi dieci del mondo. Le nostre fabbriche hanno assoluto bisogno di energia a costi equivalenti dei nostri diretti competitor. La assoluta mancanza da parte dell’Italia di una politica energetica lungimirante, ha esposto il nostro paese alle oscillazioni derivanti dai prezzi del gas e del petrolio. La crescita esponenziale dei prezzi degli ultimi mesi, ha messo in ginocchio le famiglie e le imprese italiane.

Il rincaro dei costi delle bollette hanno eroso la capacità di spesa delle famiglie e stanno mettendo fuori mercato le imprese. I costi di produzione, a causa del rincaro esponenziale dei costi dell’energia, hanno raggiunto livelli così alti che in alcuni casi le aziende trovano più conveniente chiudere gli impianti di produzione piuttosto che produrre merci che dovrebbero vendere a prezzi che il mercato non è in grado di recepire. I nostri diretti concorrenti: la Germania e la Francia hanno rispettivamente il carbone e il nucleare e quindi forniscono energia alle loro imprese a prezzi più bassi. La perdita di competitività delle nostre aziende comporta la riduzione della produzione, delle esportazioni e in conseguenza la perdita di posti di lavoro. Lo sviluppo deve essere “sostenibile” in senso lato.

Le imprese si devono attrezzare per contenere le emissioni di CO₂, produrre, ove possibile, energia pulita e rinnovabile e contenere l’impatto ambientale. Devono, però, essere messe in condizioni di non essere espulse dal mercato. Una nuova politica energetica dovrebbe essere improntata al pragmatismo ovvero: pianificare a medio termine l’investimento nel nucleare di ultima generazione e permettere, da subito, l’incremento dell’estrazione del gas e del petrolio per attenuare la dipendenza delle forniture dall’estero. Ucraina docet.  


di Antonio Giuseppe Di Natale