giovedì 20 gennaio 2022
Il Testo unico della legge bancaria – Regio Decreto legge del 12 marzo1936, numero 375 – aveva strutturato il sistema bancario secondo un criterio rigorosamente gerarchico. L’ordinamento verticistico del credito collocava all’apice il Cicr-Comitato interministeriale per il credito e il risparmio.
Il Cicr era composto da ministri preposti a Dicasteri economici (ministri con portafoglio) ed era presieduto dal primo ministro. Al Cicr la legge assegnava l’alta vigilanza sul credito che si concretizzava nell’indirizzo politico. Alle riunioni partecipava il governatore della Banca d’Italia in veste di segretario senza diritto di voto. In realtà, svolgeva la funzione di consulente tecnico a supporto delle decisioni dell’organo politico, quale era il Cicr. Il ministro del Tesoro – membro del Cicr – aveva la facoltà di emettere decreti di urgenza che, alla prima riunione del Cicr, venivano ratificati.
La Banca d’Italia svolgeva la funzione di vigilanza sulle banche e sul credito e attuava la politica monetaria su indirizzo dell’organo politico. Il governatore della Banca d’Italia, espressione massima della competenza in materia di governo del credito e della politica monetaria, era nominato a vita. La gestione della politica economica e di quella monetaria era in mano al ministro del Tesoro e al governatore della Banca d’Italia. A mio avviso, se oggi la massima espressione del potere politico è conferita alla presidenza del Consiglio dei ministri, il potere economico è in mano al ministro dell’Economia e delle Finanze in quanto responsabile di fronte al Parlamento della politica economica adottata dal Governo.
Anche le banche, prevalentemente di proprietà pubblica, erano strutturate secondo una rigida gerarchia. Le banche si distinguevano in:
- Istituti di credito di diritto pubblico;
- Casse di risparmio e monti di credito su pegno;
- Banche di interesse nazionale;
- Banche popolari;
- Casse rurali ed artigiane.
Gli Istituti di credito di diritto pubblico erano:
- il Banco di Sicilia;
- il Banco di Napoli;
- la Banca Nazionale del Lavoro;
- il Monte dei Paschi di Siena;
- l’Istituto San Paolo di Torino;
- il Banco di Sardegna (che si aggiungerà in seguito).
Gli Istituti di credito di diritto pubblico, statutariamente, avevano lo scopo sociale di sviluppare l’economia delle aree in cui operavano. Le Casse di risparmio e i monti di credito su pegno (anch’essi banche pubbliche) dovevano svolgere l’attività bancaria in ambito regionale. Le Banche popolari (Banche private) potevano operare solo nella provincia di riferimento e, infine, le Casse rurali ed artigiane (anch’esse private), potevano operare solo nei Comuni dove avevano la loro sede legale e operativa o nei Comuni limitrofi. Le Banche popolari e le Casse rurali erano costituite nella forma giuridica di cooperative per azioni ed erano vere e proprie banche di prossimità, in quanto finanziavano le imprese e le famiglie del territorio e, in molti casi, i Consigli di amministrazione erano diretta espressione delle piccole e medie imprese locali.
Il sistema bancario italiano era stato pianificato sulle esigenze specifiche del tessuto imprenditoriale che storicamente, in larga parte, era composto da piccole e medie imprese, che ancora oggi rappresentano la struttura portante del nostro sistema produttivo. Nella seconda metà degli anni Ottanta, con il consolidarsi della Germania come potenza economica europea, il sistema bancario subisce una profonda ristrutturazione. Le banche del Nord Europa, con particolare riferimento a quelle tedesche e francesi, avevano fatto leva sul principio comunitario di reciprocità. Se le banche italiane avevano la possibilità di aprire proprie filiali nei Paesi della Comunità europea, le banche dei Paesi membri avevano il diritto di aprire le loro filiali in Italia. Le motivazioni dell’interesse delle banche tedesche e francesi erano quelle di attingere al ricco mercato del risparmio italiano. Le nostre banche, che operavano in un mercato caratterizzato da un oligopolio protetto, non erano preparate alla concorrenza bancaria e, soprattutto, erano banche di piccole dimensioni rispetto ai colossi bancari tedeschi e francesi. Si rese necessario privatizzare le banche pubbliche e incentivare la concentrazione delle banche attraverso operazioni straordinarie di “fusione propriamente dette”, o “fusioni per incorporazioni”, con l’obiettivo di raggiungere livelli dimensionali comparabili con i nuovi competitor.
Il processo di concentrazione delle banche italiane continua ancora oggi. Le banche vennero privatizzate in linea con il processo di abbandono dell’economia da parte dello Stato a favore di un sistema economico pienamente di mercato. Purtroppo, con la privatizzazione, molte banche italiane vennero acquisite da banche straniere anche grazie a privatizzazioni fatte senza lungimiranza. In sostanza, quella che doveva essere l’ottimizzazione della gestione delle banche pubbliche, che erano lottizzate dalla Democrazia Cristiana, dal Partito Comunista e dal Partito Socialista, non sempre ha avuto l’effetto sperato.
Ritengo che, se non fossero intervenuti i vincoli dell’Unione europea sugli aiuti di Stato, i politici di oggi avrebbero volentieri proceduto alla ri-nazionalizzazione delle banche in crisi. Corsi e ricorsi della storia.
di Antonio Giuseppe Di Natale