Occorre tornare alla Legge Obiettivo

mercoledì 5 gennaio 2022


Ho letto con sommo piacere quanto riportato da “Il Sole 24 Ore” in un articolo di Giorgio Santilli dal titolo: “Dl Pnrr, i Commissari grandi opere sostituiranno la Conferenza di servizi”. Santilli ha precisato: “La novità più clamorosa – che ricorda molto il modello di intervento che fu della Legge Obiettivo – è l’emendamento presentato dai Cinque Stelle (prima firmataria Marialuisa Faro) che equipara l’approvazione del progetto da parte del Commissario straordinario, di intesa con il presidente della Regione interessata, alla determinazione conclusiva della conferenza dei servizi”.

Santilli accosta la proposta alla Legge Obiettivo ma commette una imprecisione: la Legge Obiettivo non annullò la Conferenza di Servizi ma tolse l’assurda clausola che imponeva per la conclusione della Conferenza stessa la unanimità dei partecipanti. Una clausola che, in realtà, rendeva forti gli Enti locali e soprattutto allungava i tempi delle Conferenze stesse (per l’asse ferroviario ad alta velocità Bologna-Milano la Conferenza di Servizi durò quasi quattro anni e per la Napoli-Bari tre anni); ma meraviglia il fatto che l’emendamento sia stato presentato da un rappresentante del Movimento Cinque Stelle, sì di un Movimento sempre schierato contro la Legge Obiettivo e contro tutte le procedure che snellivano la fase autorizzativa delle proposte progettuali. Tuttavia, i ravvedimenti sono sempre benaccetti.

Sempre nel suo articolo, Santilli ha ricordato che, su proposta della parlamentare del Partito Democratico, Elena Carnevali, è stato presentato un emendamento che consente per le opere connesse “la realizzazione coordinata di tutti gli interventi tramite atti convenzionali stipulati da soggetti pubblici e dai soggetti privati coinvolti, recanti la individuazione di un unico soggetto attuatore nonché l’applicazione delle disposizioni del presente decreto anche agli interventi finanziati con risorse diverse da quelle previste dal Pnrr e dal Piano complementare e dai programmi cofinanziati dai fondi strutturali dell’Unione europea”.

Secondo Santilli non c’è scritto esplicitamente “General Contractor”, parola da qualche tempo tabù nelle aule parlamentari ma gli somiglia molto. Quindi tanti emendamenti ritornano alla Legge Obiettivo e al decreto legislativo 163/2006; tante proposte, direttamente o indirettamente, ricordano provvedimenti abrogati da sei anni; in fondo è un modo come un altro per ammettere il vuoto operativo innescato dal decreto legislativo 50/2016 (Codice Appalti) e, al tempo stesso, è una ricerca spasmodica del Parlamento e del Governo di trovare tutte le condizioni capaci di far ripartire una macchina, quella delle costruzioni, che per sei anni i vari ministri delle Infrastrutture e dei Trasporti, che si sono succeduti in tale Dicastero, hanno praticamente distrutto.

Questa ricerca ormai patologica di modalità capaci di riattivare un comparto, quello delle costruzioni, testimonia anche una autocritica da parte di due schieramenti politici, quello del Partito Democratico e quello del Movimento Cinque Stelle, che sono i veri responsabili di questo grave crollo del comparto; i ministri Graziano Delrio e Paola De Micheli in quota Pd e il ministro Danilo Toninelli in quota M5S sono gli artefici di un simile fallimento e gli emendamenti prodotti dal Pd e dal Movimento Cinque Stelle (di cui i due primi emendamenti esposti sono solo una parte) dimostrano non solo un pieno pentimento, ma anche l’affannosa ricerca di strumenti in grado di far dimenticare un passato indifendibile.

Abrogare il decreto legislativo 163, approvato tra l’altro dal Governo Prodi nel 2006, abrogare la Legge Obiettivo che in 12 anni aveva consentito la realizzazione di opere per un importo pari a circa 145 miliardi di euro, per poi mantenere praticamente fermi tutti i programmi definiti dal Programma delle Infrastrutture strategiche approvato dalla Legge 443/2001 (Legge Obiettivo) e supportato finanziariamente dalla Legge 166/2002, bloccare dal 2015 a oggi l’intero comparto con erogazioni relative solo alla copertura di opere già autorizzate negli anni precedenti assicurando in 6 anni (preciso sei anni) un valore globale di soli 7 miliardi di euro, penso si configuri come una grande incapacità gestionale.

La cosa che colpisce di più è che il Recovery Plan, sì quello prodotto prima dal Governo Conte II e poi dall’attuale Governo per il comparto infrastrutture, fa riferimento, per oltre il 90 per cento, a opere contenute in quel Programma delle Infrastrutture strategiche varato, come detto prima, nel lontano 2001. Sappiamo benissimo che i governi che si sono succeduti dal 2015 al febbraio 2021 privilegiavano i provvedimenti in conto esercizio, in quanto era quasi obbligatorio garantire gli 80 euro (poi diventati 100 euro) per l’aumento dei salari minimi, era obbligatorio garantire il Reddito di Cittadinanza e assicurare la norma “Quota 100”; cioè era necessario disporre di un volano finanziario annuale di circa 20 miliardi di euro.

Ora, non avendo nelle Leggi di Stabilità disponibilità in conto capitale, siamo stati costretti a utilizzare integralmente le disponibilità del Next Generation Eu (vedi Articolo 1 comma 1037 più volte da me invocato) e lo abbiamo fatto, a differenza degli altri Paesi della Unione europea, richiedendo praticamente tutte le quote sia quelle a fondo perduto, sia quelle in prestito e ora siamo costretti a rispondere, ormai in modo sistematico, alla Unione europea sulla nostra capacità di attuare il Recovery Plan, sulla nostra capacità di attivare davvero la spesa. Una Unione Europea che, proprio ultimamente, ha fatto sapere che i primi a farcela, per la prima tranche di obiettivi, saranno la Spagna, la Francia e forse la Grecia. Per l’Italia c’è qualche preoccupazione. Se si dovesse saltare la scadenza di questo anno i finanziamenti non saranno persi, ma solo rinviati e rallentati (per il 2022 l’Italia potrebbe poi al massimo chiedere un’altra tranche). In realtà è un chiaro monito della Unione europea a evitare facili ottimismi e, al tempo stesso, a reinventare strumenti e procedure capaci di “fare” e non di “raccontare”.

Questo ravvedimento, a mio avviso, è leggibile proprio negli emendamenti prima richiamati e penso che il sistematico ricorso agli annunci giornalieri da parte di qualche ministro della Repubblica, nei prossimi giorni, si ridimensioneranno in modo sostanziale; tra l’altro gli annunci vengono letti anche dai funzionari della Unione europea preposti alla istruttoria dei nostri programmi e non credo sia “igienico” raccontare stati di avanzamento di opere ancora non progettate o di riforme ancora non definite in modo organico.

(*) Tratto dalle Stanze di Ercole


di Ercole Incalza (*)