lunedì 20 dicembre 2021
La multa dell’Agcom ad Amazon ha innescato un salutare dibattito sul modo in cui va tutelata la concorrenza. La sanzione di un miliardo e 128 milioni è stata comminata per un presunto abuso di posizione dominante di Amazon che avrebbe favorito i propri servizi di logistica a discapito di quelli dei concorrenti. La strategia di Amazon come marketplace, dove si incontrano i consumatori, la stessa Amazon e anche venditori terzi è quella di consentire a questi ultimi di accedere ai vantaggi del programma Prime solo se accettano di utilizzare anche i servizi di logistica. La multinazionale statunitense riesce così a controllare tutte le fasi del servizio in maniera diretta, anche per i prodotti che non vende direttamente. Ciò gli consente di mettere al centro le esigenze del consumatore garantendogli tempi di consegna certi e riducendo al minimo gli effetti di eventuali disguidi.
Per servire il proprio cliente finale con standard di qualità elevatissima Amazon ha pertanto costituito un unico ecosistema in cui fornitori di servizi e clienti della piattaforma hanno una discrezionalità minima e si affidano interamente alla multinazionale. Nella interpretazione dell’Agcom i venditori, costretti ad affidarsi ad Amazon per accedere agli immensi benefici di Prime, non avrebbero quindi la possibilità di vendere anche su altri marketplace e ciò costituirebbe una insopportabile limitazione della concorrenza. La tutela della concorrenza perduta in questo caso ci sembra però più favorire gli altri concorrenti, meno capaci di Amazon e in alcuni casi pure ex leader surclassati anche grazie a questa strategia vincente, che i consumatori. Le autorità di regolazione di tutto il mondo si trovano spiazzate di fronte alle attività dei colossi digitali che, con un modello di business del tutto dirompente, offrono servizi a prezzi bassissimi o addirittura nulli.
La risposta è quella di trovare un modo diverso di interpretare il proprio ruolo. Alberto Mingardi, in un recente articolo su Project Syndicate, ha ricordato bene come nella decisione dell’Antitrust italiano non ci sia traccia o riferimento alcuno al benessere del consumatore, un criterio cardine, per giudicare le pratiche potenzialmente distorsive del buon funzionamento del mercato. La sensazione è che faccia comodo dimenticare i consumatori per aumentare la discrezionalità delle scelte sanzionatorie, consegnando così sempre di più le autorità indipendenti al dominio della sensibilità politica.
(*) Direttore Osservatorio dell’economia digitale Istituto Bruno Leoni
di Carlo Amenta (*)