martedì 23 novembre 2021
“Quando tutti gli esperti sono d’accordo, tende a succedere qualcos’altro” (Bob Farrell, analista finanziario).
A leggere i giornali sembra che stiamo vivendo una tempesta di inflazione. Ma l’inflazione è un aumento persistente del livello generale dei prezzi al consumo quando tutto in generale diventa più costoso. Non è sufficiente che aumenti il prezzo di qualche bene e neppure che tutti i prezzi dell’intera economia aumentino una volta sola. Affinché l’inflazione reale si verifichi, l’aumento dei prezzi deve essere persistente, generale e di lungo periodo.
Ora, se all’improvviso si paga in modo esponenziale per qualche prodotto, servizio o utenza essenziali perché a causa di un fatto imprevedibile l’offerta non è stata in grado di tenere il passo con la domanda, la logica impone che, se non aumentano i redditi, si avrà una capacità ridotta di acquistare altri beni e servizi, attenuando così le pressioni sui prezzi in altre parti dell’economia per cui non ci può essere un aumento generalizzato dei prezzi. L’attuale aumento, causato dallo shock pandemico sull’offerta di alcuni settori, in assenza di espansione monetaria e speculativa, non avrà mai le gambe per trasformarsi in inflazione reale. Tale pronostico si basa sull’esame dei tre fattori che guidano le dinamiche dell’aumento dei prezzi di lungo periodo: la velocità di circolazione del denaro, il mercato obbligazionario e il corso della principale moneta di riserva, il dollaro.
La velocità di circolazione del denaro è la frequenza con cui l’unità monetaria è spesa e rispesa nell’economia per acquistare beni e servizi in un determinato periodo di tempo e si calcola dividendo il Pil per lo stock monetario, quest’ultimo solitamente indicato con l’aggregato monetario m2 (circolante, depositi e attività finanziarie con alto grado di liquidità). Pertanto, Pil/m2=Velocità di circolazione. Solo quando i consumatori beneficiano dell’espansione monetaria, le transazioni economiche si verificano più frequentemente e il numeratore di questo rapporto aumenta rispetto al denominatore.
Un esempio elementare: se nell’economia vengono spese 100 unità di denaro all’anno, il Pil sarà di 100. Se le stesse 100 unità vengono spese due volte l’anno, vuol dire che la velocità del denaro è raddoppiata e pertanto anche il Pil raddoppia. Di fatto, solo una di queste tre cose si verifica: o la quantità di beni e servizi si raddoppia; o l’inflazione sale al 100 per cento; oppure si verifica una combinazione di queste due possibilità. Nella realtà, poiché ci vuole tempo perché il Pil reale cresca, si verifica l’effetto intermedio e l’ipotetico raddoppio del prodotto lordo dipende soprattutto dall’inflazione ed è la velocità con cui vengono spesi i soldi a creare l’enorme impatto sull’aumento dei prezzi.
In Italia, a partire dagli anni Settanta e fino agli Ottanta del secolo scorso, si ebbe un’inflazione persistente e generalizzata: era l’epoca della scala mobile che indicizzava automaticamente i salari agli aumenti dei prezzi per contrastare il “carovita”. La Banca d’Italia “stampava moneta” che, entrando effettivamente nelle tasche del pubblico, veniva spesa il più velocemente possibile, facendo decollare l’inflazione. Tutto ciò portò alla svalutazione della lira. L’aumento del prezzo del petrolio non sarebbe stato di per sé sufficiente a aumentare il livello generale dei prezzi, ci voleva il concorso di tutti gli altri fattori. All’epoca il rapporto Pil/m2 arrivò anche a 6 segnalando che, grosso modo, la domanda monetaria del pubblico era pari a solo 1/6 del reddito disponibile mentre il resto veniva speso. Nulla di tutto questo sta avvenendo oggi: la velocità della circolazione si aggira attorno all’unità, segnalando che a livello aggregato il denaro circola poco più di una volta, il che vuol dire riluttanza a spendere.
Il secondo indicatore a dirci cosa sta accadendo è il mercato obbligazionario. Analizzando un secolo di storia, risulta che tale mercato ha sempre predetto l’inflazione a lungo termine. Infatti, sono i rendimenti obbligazionari a lungo termine a rappresentare aspettative di crescita e aumenti generali dei prezzi. Prendiamo in considerazione il Tesoro Usa a 10 anni, probabilmente l’obbligazione più importante al mondo che oscilla in base a una serie di fattori come crescita economica, bilanciamento del portafoglio, politica monetaria, situazione nei mercati obbligazionari internazionali e così via. Il suo tasso di rendimento rispetto al quale vengono valutate tutte le altre attività finanziarie è, al momento in cui scriviamo, pari all’1,6 per cento, troppo basso affinché si verifichi l’inflazione di lungo periodo. Per anticipare l’inflazione reale, il rendimento dovrebbe essere molto più elevato come avvenne nel 1973, all’epoca dell’embargo dell’Opec, quando salì oltre il 6 per cento prefigurando l’inflazione del 15 per cento degli anni Ottanta.
Riflettiamo ora un momento: come è possibile una crescita economica continuata con aumenti di prezzo dell’energia che riducono ancora il reddito disponibile, con tassazione e disoccupazione in aumento, con investimenti privati in contrazione e con banche che investono sempre meno nell’attività di prestito e sempre più in quella finanziarie assai più smobilizzabile? L’attuale aumento dei prezzi segnala, secondo noi, un contesto futuro tipicamente deflazionistico. Il terzo e forse più importante fattore a guidare la dinamica dell’inflazione è il corso del dollaro, la valuta principale di riserva detenuta dalle banche centrali, dalle principali istituzioni finanziarie e la più usata nei pagamenti internazionali. Se ci fosse inflazione vera, il dollaro si sarebbe già svalutato mentre invece si è super apprezzato! Un dollaro alto segnala scarsità di danaro, non abbondanza e infatti a livello globale c’è un’incredibile richiesta solo per pagare gli interessi sul debito in questa valuta, il che crea forti pressioni deflazionistiche, non inflazionistiche.
Quando la valuta di riserva globale diventa più costosa, le condizioni del credito globale diventano più rigide. I Paesi in via di sviluppo, ad esempio, in Asia o Sud America, che si indebitano solo in dollari poiché gli investitori non si fidano delle loro valute nazionali, si trovano improvvisamente sotto pressione aumentando il rischio di default e riducendo la quantità di denaro che possono spendere per la crescita. Per contro, una forte valuta di riserva globale rende anche quasi tutto il resto più economico, frenando in particolare il prezzo delle materie prime e dell’energia, quotati quasi al cento per cento in dollari. Alla fine, dunque, crediamo che l’attuale situazione dei prezzi debba sgonfiarsi e, fermo restando che il futuro riserva sempre delle sorprese, non è escluso che entro questo ventennio si verifichi un vero e proprio collasso di tutti i prezzi a livello globale a seguito del crash dell’ormai insostenibile debito globale.
di Gerardo Coco