Alla fine l’Istat ci dice la verità…

mercoledì 1 settembre 2021


Da almeno un anno con dichiarazioni dell’ex ministro del Mezzogiorno, Giuseppe Provenzano, con dichiarazioni dell’ex ministra delle Infrastrutture e dei Trasporti, Paola De Micheli e con quelle dell’ex presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, abbiamo appreso in modo sistematico notizie in merito alla crescita del Mezzogiorno e al contestuale ridimensionamento del divario tra il Sud e il resto del Paese.

Tutti ricordiamo che con l’avvio dei lavori delle opere strategiche per oltre 18 miliardi di euro nell’anno di presenza della De Micheli al ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, si sarebbe ridotto, sempre a detta della ministra, il divario del Sud con il Centro-Nord e questo divario si sarebbe ridimensionato ulteriormente soprattutto quando sarebbero partite le opere già supportate finanziariamente per un valore di oltre 170 miliardi di euro. In realtà avemmo modo di avvisare la ministra che i 170 miliardi di euro erano solo programmatici. E non solo non erano disponibili, ma non erano neppure previste possibili coperture.

Lo Svimez, l’associazione per lo Sviluppo dell’Industria nel Mezzogiorno, di cui il vicedirettore è l’ex ministro Provenzano, ha pubblicato il quadro macro-economico per il Centro-Nord e il Sud alla luce del contributo del Piano di ripresa e resilienza nel biennio 2021-2022. Da tale documento si evincono alcune potenziali criticità del Piano, innanzitutto il computo delle risorse per il Mezzogiorno che il Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza) stima al 40 per cento.

“Circa 182 miliardi del Piano – si legge nel documento – finanziano nuovi progetti già finanziati ma non è nota la ripartizione territoriale di queste due voci, elemento che potrebbe ridimensionare la quota del Sud”. Inoltre, si precisa nella relazione: “Manca una ricognizione puntuale dei fabbisogni di investimento sulla quale basare una allocazione delle risorse coerente con l’obiettivo di ridurre il divario di accesso ai servizi”.

Ciò che preoccupa del rapporto è un dato: tre Regioni settentrionali come l’Emilia-Romagna, la Lombardia e il Veneto a partire dal 2000 si sono progressivamente staccate dalle altre, grazie al loro dinamismo e, anche nel biennio 2021-2022, dovrebbero sperimentare una crescita del Prodotto interno lordo superiore a quella dell’intero Centro-Nord e di conseguenza anche del Paese. In realtà, gli indicatori che emergono dal lavoro dello Svimez evidenziano i rischi di questa ripresa che permette di tornare, seppur lentamente, verso i livelli pre-crisi ma da sola non consentono di superare i problemi che si erano accumulati in precedenza negli anni della forte recessione.

E allora prende corpo in realtà una vera nuova articolazione dello sviluppo del Paese, forse stanno nascendo tanti “Mezzogiorni” ed è solo ridicolo continuare a invocare percentuali di crescita di una realtà, quella del Mezzogiorno, nei confronti di un Centro-Nord o di un Nord che negli ultimi sei anni, in presenza di una prolungata e diffusa stasi, non sono più omogenei e, addirittura, non sono neppure riconducibili a naturali evoluzioni di crescita. La causa di questo preoccupante fenomeno, di questo difficile e strano nuovo assetto del Paese, trova riscontro in una serie di fattori:

la encomiabile capacità del tessuto imprenditoriale presente in queste tre Regioni, un tessuto che si è organizzato in modo autonomo e, in molti casi, accedendo a risorse finanziarie non garantite dallo Stato ma dal mercato finanziario nazionale ed internazionale;

– la grande attenzione ai mercati internazionali e alla encomiabile crescita di competitività sia attraverso una misurabile eccellenza dei prodotti, sia attraverso soglie di costo davvero, in molti casi, imbattibili;

– l’impegno delle Amministrazioni regionali a utilizzare davvero le risorse assicurate dai Fondi comunitari (Pon e Por); Fondi pari solo al 15 per cento del valore globale assegnato ma che, a differenza delle Regioni del Sud, vengono concretamente utilizzati (dei 54 miliardi del Programma 2014-2020 sono stati spesi solo 3.800 milioni di euro, l’80 per cento nel Centro-Nord);

– la ricchezza non solo di infrastrutture realizzate nel tempo, ma la presenza di impianti logistici essenziali per lo stoccaggio, la manipolazione, la distribuzione dei prodotti in stretto e sistematico collegamento con le piastre logistiche internazionali garantendo un rispetto pieno della supply chain;

– la creazione di centri mercato capaci di garantire una capillare occasione per la misurabile commercializzazione dei prodotti;

– un accesso al credito ottenibile in un arco temporale limitato e, soprattutto, a condizioni davvero accettabili;

– una apprezzabile capacità non solo manutentiva degli impianti di produzione ma anche una flessibilità nella riconversione e nell’aggiornamento delle linee di produzione.

E allora, forse, sarà necessario effettuare comparazioni tra le otto Regioni del Mezzogiorno e le tre Regioni del Nord, tra le Regioni del Centro e le tre Regioni del Nord e infine tra le restanti Regioni del Nord e le tre Regioni prima esaminate. Un confronto penso utile ma al tempo stesso capace di elencare una volta per tutte le responsabilità sia dell’organo centrale, sia di quello locale e sia infine dell’intero tessuto produttivo e logistico. Questo approccio nuovo e obbligato penso sarà utile per evitare, in futuro, che lo Svimez, il Censis, la stessa Istat descrivano articolazioni socio-economiche non coerenti con un tessuto territoriale che, dopo sei anni di stasi dell’azione dello Stato nella infrastrutturazione del Paese, ha perso integralmente dei riferimenti macro-economici che si erano consolidati nel tempo.

(*) Tratto dalle Stanze delle Ercole


di Ercole Incalza (*)