Post G7: senza realismo non si andrà avanti

mercoledì 16 giugno 2021


Chicco Testa, presidente di Sorgenia Spa, ex presidente del Cda di Acea, ex Ad di banca Rothschild, deputato del Partito Comunista italiano e del Partito Democratico della Sinistra negli anni ’90 e autore di libri sul tema dell’energia, scriveva un post icastico e incontestabile sulla sua pagina Twitter: “Ogni giorno (nel mondo si consumano) 15 milioni di tonnellate di carbone, 11 miliardi di metri cubi di gas, 100 milioni di barili di petrolio. Non sarà facile sostituirli”. La frase è attuale e sensata, anche se Chicco Testa anni fa fu qualificato da Il Fatto Quotidiano col termine di “Boiardo di Stato”, il che – direbbe qualcuno – è un attestato di merito, vista la fonte da cui proviene la squalifica.

La International Energy Agency (Iea), nata nel 1974 dopo la crisi del petrolio su impulso della Ocse per garantire le forniture di petrolio alle nazioni aderenti, è oggi diventata l’organismo centrale della transizione dai combustibili fossili alle energie alternative. Il che è un nobile e utile lavoro. Tuttavia le sfide lanciate nel recente summit del G7 in Cornovaglia e l’impetuosa crescita dei prezzi del petrolio impongono una duplice riflessione: da qui al 2050 è concretamente realizzabile la transizione alle energie rinnovabili? Il rialzo speculativo del petrolio è un fattore speculativo, un prodotto dell’aumento della domanda, oppure il risultato di una cattiva gestione dell’energia da parte dei politici, i quali – nell’ansia dell’energia verde, globale e futura – dimenticano la gestione del presente?

Dobbiamo perciò ridurre l’impatto del greenwashing (ovvero l’entusiasmo policretinamente corretto) e pensare in maniera policoncreta, il che non significa viva il petrolio ma piuttosto una transizione più realistica nei tempi e nei modi, e quindi migliore. Per esempio, pensiamo al carbone. Perché la Germania e la Cina continuano a utilizzarlo? Una delle risposte è: perché senza carbone non si produce l’acciaio, e nemmeno la ghisa. Ovvero, anche il carbon coke non potrà essere azzerato completamente. Si può però lavorare alla riduzione delle sue emissioni nel caso dell’utilizzo.

Iea lavora al raggiungimento di “emissioni zero” nel 2050, quando avremo 2 miliardi di persone in più e un Pil mondiale raddoppiato (il tutto con un calo del consumo globale di energia). Intanto passeremo all’auto elettrica velocemente: oggi abbiamo un milione di colonnine di ricarica, mentre nel 2030 ne avremo 40 milioni. Ma il problema sarebbe eliminare prima l’inquinamento causato dalle batterie ricaricabili. L’Iea dice che dovremo chiudere la partita col petrolio. Ma far fallire Exxon o Eni risolverebbe tutto, o piuttosto affiderebbe il business a compagnie saudite, iraniane, venezuelane o alla Rosneft russa? Ciò significherebbe affidare a Paesi poco o per nulla democratici le molte nazioni arretrate che resteranno comunque in forte ritardo rispetto all’utilizzo di energie rinnovabili.

Michael Shellenberger, nel saggio “L’apocalisse può attendere: errori e falsi allarmi dell’ecologismo radicale” (Marsilio), parla degli errori dell’ecologismo radicale, ricordando tra l’altro che il 98 per cento della popolazione del Congo orientale utilizza legna e carbone per cucinare. “Nel Congo (92 milioni di persone) usano la legna 9 persone su 10, una soltanto usa l’elettricità”. In tutto il Congo si produce e usa l’80 per cento dell’elettricità consumata a Milano. È quindi difficile che gli abitanti del Congo nel 2050 utilizzino auto elettriche ed energia a zero emissioni, dato che hanno oggi un reddito annuo pro capite di 561 dollari. Un conto è San Francisco e un altro conto è una città come Lagos, con decine di milioni di abitanti e una cronica latenza di energia elettrica, aggravata per giunta da frequenti blackout.

In sintesi, l’ambientalismo realista dovrebbe preferire l’ottimismo della capacità a quello ideologico chiedendo maggiori investimenti nella ricerca sulle nuove energie. Come sottolineano Chicco Testa e Carlo Stagnaro (Istituto Bruno Leoni) si deve realizzare un sistema di riconversione prima di continuare con slogan come “solare per tutti” o “idrogeno libero e gratuito”. Anche perché le rinnovabili attuali non sono (ancora) in grado di sostituire gli idrocarburi nemmeno nei Paesi più avanzati, se non per l’energia domestica e non ovunque. Fotovoltaico ed eolico sono insufficienti rispetto alle necessità di industrie, illuminazione pubblica, e per gli spostamenti in treno, auto, aereo. Questo è quanto andrebbe detto all’opinione pubblica: serve più tempo per trovare nell’idrogeno o in un mix di energie alternative un sostituto efficiente dei combustibili fossili.

In che direzione si dovrebbero muovere i governi mondiali per migliorare la qualità ambientale? Un elenco parziale potrebbe essere il seguente:

1) Efficienti sistemi di cattura e stoccaggio della Co2;

2) Limitare il carbone alla produzione di acciaio;

3) Il nucleare per Iea deve crescere molto, perché è a zero emissioni ed è performante quanto gli idrocarburi, oltre a essere necessario per uno dei tre modi di produzione di idrogeno (la tecnologia futura cui ci si affida, ma la cui resa effettiva è ancora da certificare). In questo caso però in Italia ci si deve scontrare contro le inculture di tipo no vax e nimby;

4) Riduzione dei trasporti inutili e inefficienti: portare 50.000 tonnellate dei rifiuti urbani di Roma in Austria nel 2017, per non parlare di altre città, è una follia contro l’ambiente. Nel Nord Europa come a Montecarlo ci sono termovalorizzatori nel centro delle città, e parliamo di nazioni molto ambientaliste. In Italia invece l’opinione pubblica sul trattamento dei rifiuti sembra orientata dalla mafia delle discariche più che dall’intelligenza scientifica dei nostri mass media;

5) Eliminare buona parte delle confezioni dei prodotti;

6) Il mare va “riforestato”, creando in parallelo una regolamentazione internazionale sulla produzione e l’utilizzo di plastiche (a partire dal polistirolo).

Sarebbe inoltre fondamentale studiare la fattibilità di impianti di itticoltura biologica, che risolvano il complesso problema del rilascio di deiezioni e dell’utilizzo di sostanze chimiche e farmaci nei mangimi. Tutto ciò che finisce in mare (prodotti chimici, fognature) va prefiltrato. Per le nuove abitazioni mono o bifamiliari utilizzare i “pozzi neri” di nuova generazione sarebbe un fattore di miglioramento, da incentivare e applicare meglio.


di Paolo Della Sala