Il Pnrr non è un piano

mercoledì 26 maggio 2021


L’impianto pianificatorio e l’impianto contrattuale sono due strumenti completamente diversi ed è fondamentale evitare di confondere le funzioni e le finalità, perché altrimenti illudiamo tutti coloro che pensano di assistere ad un disegno programmatico, ad un processo di programma ed avere già certezze procedurali, avere articolazioni autorizzative sicure e quindi essere di fronte a certezze realizzative. Invece la programmazione è solo un disegno di volontà anche misurabili, anche riconoscibili nelle componenti più minute e più insignificanti ma questa ricchezza di caratteristiche, questa ricchezza di “certezze disegnate” non assicura nessuna certezza realizzativa. Nasce così spontaneo un interrogativo: perché usiamo e spesso invochiamo e riteniamo indispensabile un atto programmatico, un atto pianificatorio se poi non siamo in grado, contestualmente, di poterne attuare impegni e certezze realizzative. La risposta non è semplice: in realtà la pianificazione o, più correttamente, l’atto programmatico in fondo è solo una banale anticipazione di “tranquillità”; è come se vedessimo in anticipo la realizzazione di una nostra intuizione, la possibile attivazione di una spesa, l’avvio di un servizio coerente a precise nostre esigenze.

E, quindi, in fondo, la pianificazione è strettamente legata all’ottimismo non della speranza, non della volontà ma della ragione, dell’ottimismo della ragione di chi, in buona fede, ha disegnato, ha immaginato un atto programmatico. La pianificazione, la programmazione, quindi, non sono legati a degli impegni incontrovertibili. Un fallimento pianificatorio produce, al massimo, una responsabilità politica, produce solo il mancato rispetto di impegni assunti da determinati soggetti o organismi istituzionali ma, in fondo, non c’è un incontro tra le parti ma solo un rapporto tra un soggetto, un organismo che, come detto prima, produce una articolazione programmatica e i diretti fruitori di una simile scelta. Ma, come accennavo prima, nessuno potrà costruire ed avanzare una denuncia di responsabilità per la mancata attuazione di un piano. Molti diranno: ma un fallimento programmatico, una mancata correlazione tra quanto prospettato in un determinato arco temporale e quanto concretamente attuato, produce senza dubbio anche un danno economico. Tuttavia, la mancata fruizione di determinati servizi, di determinate offerte funzionali contenute nel piano non genera contenziosi, non genera possibili rivendicazioni. Infatti i piani non hanno mai una forza cogente.

L’impianto contrattuale invece è, a tutti gli effetti, un istituto giuridico che vincola due o più parti tra di loro; in merito esistono più tipologie contrattuali, quali in particolare: contratti tipici e contratti atipici, contratti ad effetti reali e contratti ad effetti obbligatori, contratti consensuali e contratti reali, contratti con prestazioni a carico di una sola parte o contratti unilaterali e contratti a prestazioni corrispettive, contratti a titolo oneroso, contratti a titolo gratuito, contratti associativi e contratti di scambio ed infine contratti di durata e contratti istantanei. Soffermiamoci su una specifica caratteristica in particolare quella relativa a prestazioni corrispettive quelli in cui entrambe le parti hanno diritti ed obblighi. Ad esempio, nel contratto di compravendita, il venditore deve trasferire un bene e il compratore deve pagare il prezzo. Ricordo infine che l’impianto contrattuale scaturisce sempre dallo scambio del consenso: due o più soggetti si accordano sul contenuto del contratto che debbono concludere e si impegnano a vicenda.

Ho voluto soffermarmi a lungo sulla distinzione sostanziale tra un atto pianificatorio ed un atto contrattuale, perché per un banale errore semantico continuiamo a definire “piano” il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), il Recovery Plan, quando in realtà trattasi di “contratto”, trattasi cioè di un chiaro impegno di due distinti soggetti a rispettare uno concretamente specifici impegni, specifiche scadenze e l’altro ad erogare determinate risorse. In tal modo termina la pluriennale esperienza del passato Governo Conte caratterizzata da una campagna annunci e da una imperdonabile produzione di atti programmatici come, solo a titolo di esempio, quello del Sud e quello della ex ministra delle Infrastrutture e dei Trasporti, Paola De Micheli, relativa al Piano Italia Veloce di 200 miliardi di euro. Due tipici documenti carichi di impegni, ricchi di promesse e povere di risorse e rimasti, ripeto, gratuiti annunci programmatici.

Ma se il Recovery Plan è un “contratto” prende corpo automaticamente una motivata preoccupazione: mentre per le opere del Nord tutte quasi in corso di realizzazione, mi riferisco in particolare alle opere dell’alta velocità ferroviaria Genova-Milano (Terzo Valico dei Giovi) e Verona-Vicenza-Padova o di prossimo avvio come l’asse Verona-Fortezza, per gli altri interventi come l’asse ferroviario Roma-Pescara, Salerno-Reggio Calabria, l’asse Taranto-Metaponto-Potenza-Battipaglia e le tratte ad alta velocità Palermo-Messina-Catania, siamo in presenza, allo stato, di idee progettuali e, nel migliore dei casi, disporremo, come da me già più volte anticipato, di progetti pronti per essere cantierati solo nel 2024 e solo per lotti modesti.

Quindi, se non si aprono i cantieri e non cominciano ad essere erogati i Sal (Stati avanzamento lavori) il Paese non può utilizzare le risorse del Recovery Fund. Vorrei essere più chiaro: non ci troviamo di fronte ai Pon (Piani operativi nazionali) o ai Por (Piani operativi regionali) che venivano onorati dalla Unione europea attraverso anticipi una volta attivati gli impegni sulle relative opere, non ci troviamo di fronte a proposte che se non mantenute diventavano occasione di possibili accordi come quello che ci ha consentito di poter ancora disporre di circa 30 miliardi di euro non spesi del Fondo di Sviluppo e Coesione 2014-2020, no! In questo caso siamo in presenza, lo ripeto fino alla noia, di un chiaro strumento contrattuale.

A differenza dei passati presidenti del Consiglio, Mario Draghi conosce benissimo la forza dell’atto contrattuale con la Unione europea, sa benissimo che non paga assolutamente la logica dell’annuncio quando ogni passaggio non è monitorato solo dagli Uffici della Unione europea ma da tutti gli altri Paesi che saranno attentissimi al corretto rispetto del nostro Paese ai vincoli imposti per l’utilizzo del Recovery Fund. Questa mia preoccupazione non è legata alla capacità delle nostre grandi aziende di spesa del comparto infrastrutture come le Ferrovie dello Stato o l’Anas quanto all’impegno degli Enti locali nel dare il massimo sostegno all’attuazione del non facile processo autorizzativo. Spero che il ministero della Transizione Ecologica e quello dei Beni culturali, almeno per le opere inserite nel Recovery Plan, assicurino corsie preferenziali. Quello che temo è proprio l’attenzione degli Enti locali (Regioni, Aree metropolitane e Comuni) nell’assecondare le procedure legate alla cosiddetta “pubblica utilità”.

Se ci si rendesse conto, davvero, della peculiarità di un simile rapporto contrattuale sono convinto che, non una singola Regione del Mezzogiorno, ma tutte le Regioni del Mezzogiorno darebbero vita ad un organismo unitario catalizzatore di tutte le azioni, di tutte le procedure necessarie per rendere concreto ed efficiente l’atto contrattuale che caratterizza il Recovery Plan.

(*) Tratto dalle Stanze di Ercole


di Ercole Incalza (*)