lunedì 18 gennaio 2021
Solo una decina di giorni di tregua, di respiro, prima che la valanga di cartelle esattoriali (ed atti giudiziari vari) investano inesorabilmente gli italiani. Una sorta di soluzione finale, di regolamento di conti tra Stato e partite Iva, che dovrebbe definitivamente condurre alla chiusura le attività che barcollavano già prima della pandemia. Come anche l’ultimo spintone, per far cascar giù definitivamente tutti quei cittadini indebitati e che, con affanno, pagano mutui ed adempiono alle tante incombenze familiari e personali. Uno staccar la spina ai cittadini malconci per salvare quelli ancora economicamente in normali o buone condizioni? Sembrerebbe così. E ben sappiamo che questi provvedimenti vengono solo firmati da Governi e ministri: i veri ispiratori sono i conciliaboli tra giuristi, alti dirigenti di stato e poteri economici.
Intanto il 2021 è appena iniziato ma economicamente è già finito. Almeno per quel sessanta per cento della base imponibile che trae reddito dal cosiddetto pulviscolo imprenditoriale: ovvero attività commerciali ed artigianali con meno di cinque dipendenti, fatturato annuo pre-Covid sotto i duecentomila euro, costi fissi per mutui, affitti e rate per macchinari e strumenti vari di produzione. Si tratta della maggior parte dei negozianti, artigiani e professionisti che hanno già vissuto l'incubo del film di terrore “non aprite quel cassetto”, direttamente ispirato dalla trovata del “cassetto fiscale”: infatti commercialisti e tributaristi d’esperienza raccomandavano la clientela di non farsi prendere dalla curiosità, perché l’apertura del cassetto avrebbe interrotto i termini prescrizionali di ogni pendenza presso l’Agenzia delle Entrate. Perché quest’ultima funge da bacino di raccolta di tutti i contenziosi in danaro tra cittadino ed enti locali, Stato centrale e spese varie tra giustizia civile ed amministrativa. Ora il vicolo cieco per milioni d’italiani è bello e costruito: da un lato si blocca emostaticamente l’economia per tutto il 2021, dall’altro l’alta dirigenza di stato chiede che non vi siano rinvii nel recapito delle cartelle esattoriali, e sono più di cinquanta milioni di atti per una cifra a dir poco astronomica. Di fatto, questa situazione rompe la pace fiscale tra cittadini non pubblici dipendenti e stato, rendendo risibili eventuali aiuti che il governo avrebbe già stanziato per l’emergenza Covid. Di fatto il 2021 si apre con l’obbligo alla ripresa dell’attività dell’Agenzia delle Entrate: entro il 31 gennaio 2021 verranno recapitate più del trenta per cento delle cartelle in pancia all’Agenzia. L’obbligo è chiaro per i contribuenti: regolarizzare la propria posizione nei confronti del Fisco (dopo la sospensione approvata a marzo 2020, e fino al 31 dicembre 2020) entro sessanta giorni dalla notifica; in caso contrario scattano i pignoramenti veloci, con loro tutte le limitazioni europee (introdotte su input della Banca centrale europea) sull’uso di conti correnti e sul blocco di castelletti bancari, fidi e prestiti. Di fatto è finita la moratoria approvata in emergenza Covid con l’obiettivo di far tirare un sospiro di sollievo alle imprese colpite negli incassi dai ripetuti lockdown. Tecnicamente le attività di invio delle cartelle esattoriali (e di tutti gli atti di notifica di Agenzia delle Entrate ed enti vari) sono già riprese dai primi di gennaio, ma la riscossione effettiva ha inizio dal 31 gennaio 2021.
A conti fatti, l’Agenzia ha censito in invio cinquanta milioni di atti. La notifica riguarderà tutti i contribuenti che hanno una posizione debitoria nei confronti dell’Erario, compresi quelli che rientravano nella moratoria 2020 approvata durante l’emergenza Covid. Dei 50 milioni di atti inviati dall’Agenzia delle Entrate, ben 35 milioni sono atti di riscossione (cartelle, ipoteche, fermi amministrativi) sospesi nel corso del 2020. Altre quindici milioni di cartelle sono state lavorate a gennaio 2021, e riguardano accertamenti, lettere di sollecito e sospetti di morosità: anche queste verranno notificate dal 31 gennaio. Di fatto, il rinvio al 31 gennaio è una mancata sospensione di cartelle esattoriali e notifiche da parte dell’Agenzia: anche in considerazione del prolungamento dello stato d’emergenza e dell’introduzione di nuove restrizioni col “decreto gennaio”. Il Governo, prima delle difficoltà politiche, era intenzionato a correre ai ripari con una nuova rottamazione. Ma questa scelta non godrebbe il placet d’una parte delle sinistre e dell’alta dirigenza di Stato: in molti vedono nella rottamazione “saldo e stralcio” una sorta di condono tombale sui debiti pregressi contratti con la pubblica amministrazione dagli imprenditori. Ne deriva che, difficilmente l’approvazione del decreto “Ristori 5” potrebbe contenere una nuova rottamazione. Perché molti vertici influenti della burocrazia non ravvedono la necessità di far pagare i debiti all’Erario, tramite un piano a rate: un saldo e stralcio che ricorderebbe non poco le “cartelle zoppe” in uso alle esattorie comunali fino agli anni Ottanta. Ne deriva che tra burocrazia e cittadini è ormai gelo, e la stagione non aiuta in tutti i sensi. Questo per molti osservatori è il tallone d’Achille della governabilità: Capitol Hill d’Italia potrebbero rivelarsi (dopo il 31 gennaio) i vari uffici pubblici di riscossione, soprattutto le sedi dell’Agenzia delle Entrate.
di Ruggiero Capone