venerdì 8 gennaio 2021
Il rapporto tra popolo e potere (o poteri) non è mai stato idilliaco, e storicamente le conflittualità sono sempre state mediate da quelli che oggi definiremmo corpi intermedi, ovvero religioni, tribuni del popolo, mafie, sacerdoti, maghi, sindacalisti…partiti politici. Va detto che il potere ha sempre cercato di comprare i rappresentanti dei corpi intermedi, quanto meno d’addomesticarli. Inutile ribadire che la storia dei popoli è diversa, ma presenta comunque similitudini. Negli ultimi duecento anni le aristocrazie storiche hanno pian pianino ceduto lo scettro a quelle tecnologico-finanziarie. Il rapporto tra popolo e nuovi padroni del potere è stato comunque calmierato da corpi intermedi come chiesa, sindacati e partiti politici (negli ultimi settant’anni si sono aggiunte le organizzazioni internazionali). Ma oggi siamo ad una svolta epocale, ad una resa di conti, tra popolo e potere. Questo perché il potere non ha più bisogno del popolo, degli esseri umani. Il potere non ha più bisogno di braccia che lavorino nei campi o nelle fabbriche, e nemmeno di tanti addetti alle manutenzioni edili ed urbane, troppi sono anche insegnanti ed impiegati, pericolosi gli autonomi dediti ad artigianato e commercio. Questi ultimi rappresentano per il potere l’insidiosa classe che potrebbe azionare l’ascensore sociale, tentando la prevaricazione economica nei riguardi del potere consolidato.
Per bloccare ogni tumulto, quindi evitare che vengano insidiati i poteri, è stato siglato un patto di stabilità tra i gruppi mondiali che detengono il potere. Il patto tra poteri (amministratori di gruppi finanziari, multinazionali tecnologiche ed industria della sicurezza) prende il nome di “Great Reset”, ed è stato siglato al Forum di Davos circa vent’anni fa, nel 2001: durante quell’appuntamento, dal titolo “Global information technology report”, si definirono a Davos le basi del “Great Reset”. Il 2 gennaio 2021, Maurizio Blondet ha pubblicato un estratto dell’Economist (settimanale di Sir Evelyn de Rothschild) in cui si acclarano i postulati di quello storico accordo di Davos: ovvero soppressione della proprietà privata, limitazione della mobilità dei popoli, limiti al lavoro creativo ed individuale, introduzione della moneta elettronica per scongiurare risparmio individuale ed accumulo di danaro fuori dal controllo dei sistemi bancari, rafforzamento delle norme di sicurezza al fine di controllare l’agire degli individui. Norme e metodiche che, i potenti di Davos hanno fatto digerire alle politiche nazionali come antidoto alla distruzione del pianeta. In pratica la salvaguardia del Pianeta verrebbe garantita con la schiavitù dei popoli. Nicoletta Forcheri ha già documentato la mitica riunione di Davos sulla web-tv ByoBlu, determinando l’ira del conformismo mediatico italiano: non dimentichiamo che gran parte dei giornalisti italioti gradivano essere ospiti negli alberghi di Davos.
Nel 2016 il piano del Forum di Davos viene illustrato dall’Istituto Mises: ovvero diviene di dominio pubblico la volontà del potere di abolire la proprietà privata. Il titolo di quel rapporto (e programma) è “No privacy, no property: the world in 2030 according to the Wef”. Quindi entro il 2030 i potenti della terra contano d’aver convinto tutti gli stati del pianeta ad abolite per legge la proprietà di alloggi e strumenti di produzione. In questo progetto del potere si rivela provvidenziale la pandemia da Covid, che sta di fatto agevolando la criminalizzazione del lavoro umano (valutato come primo fattore d’inquinamento), del turismo di massa e della socializzazione umana in genere. La pandemia sta anche favorendo il depauperamento del risparmio individuale di coloro che non sono parte del sistema: ovvero tutti gli individui che non lavorano per entità statali e multinazionali. Perché il Great Reset prevede che debbano essere chiuse tutte le attività individuali artigianali e commerciali, e per favorire l’accordo unico tra grande distribuzione e commercio elettronico. Obiettivo dei signori di Davos è far decollare il reddito universale (la “povertà sostenibile”) entro il secondo trimestre 2021: sarebbero proprio artigiani e commercianti a dover per primi abbandonare le rispettive attività per piegarsi ad un programma di “povertà sostenibile”. La pandemia s’è rivelata fondamentale per l’opera di convincimento al non lavoro.
“Oltre la privacy e la proprietà” è una pubblicazione, per il World economic forum, dell’ecoattivista danese Ida Auken (dal 2011 al 2014 ministro dell’Ambiente della Danimarca, ancora membro del Parlamento danese) e parla d’un mondo “senza privacy o proprietà”: immagina un mondo in cui “non possiedo nulla, non ho privacy e la vita non è mai stata migliore”. L’obiettivo è entro il 2030 (scenario di Ida Auken) che “lo shopping e il possesso sono diventati obsoleti, perché tutto ciò che una volta era un prodotto ora è un servizio. In questo suo nuovo mondo idilliaco, le persone hanno libero accesso a mezzi di trasporto, alloggio, cibo e tutte le cose di cui abbiamo bisogno nella nostra vita quotidiana”. I poteri si sono inseriti in questi disegni utopici e, per fare propri tutti i beni dei popoli, hanno elaborato la trappola della “povertà sostenibile”, il reddito di base garantito. Antony Peter Mueller (professore tedesco di Economia) sottolinea che questo progetto va oltre il comunismo più estremo. “L’imminente esproprio andrebbe oltre anche la richiesta comunista – nota Mueller – questa vuole abolire la proprietà privata dei mezzi di produzione, ma lascia spazio ai beni privati. La proiezione del Wef afferma che anche i beni di consumo non sarebbero più proprietà privata (…) secondo le proiezioni dei “Global future Councils” del Wef, la proprietà privata e la privacy saranno abolite nel prossimo decennio. Le persone non possederanno nulla. Le merci sono gratuite o devono essere prestate dallo Stato”. “La proprietà privata è di ostacolo al capitalismo”, afferma l’Economist nel suo elogio alle politiche del Forum di Davos.
L’Fmi (Fondo monetario internazionale) ha sposato il programma del Forum di Davos, infatti è partito il programma mondiale di reset del debito: in cambio gli stati con maggiore debito pubblico sarebbero i primi a dover garantire ai poteri che i cittadini perdano per sempre la proprietà privata di qualsiasi bene. E chi gestirebbe i beni confiscati? Le élite, che pensano di risolvere il problema abolendo mondialmente la proprietà privata, hanno già predisposto un unico fondo planetario che controlli i diritti sui beni e terreni. L’idea, davvero utopica, veniva per la prima volta paventata da George Soros nel 1970, due anni dopo la sua invenzione degli “hedge fund”: il cosiddetto “sistema finanziario buono” che convinse moltissimi hippie sessantottini a trasformarsi in yuppies finanziari di successo. Ora che il pianeta è ancor più bruciato dai debiti, gli stessi tentano di reinterpretare Karl Marx e Friedrich Engels, e questa volta lo fanno raccontandoci che c’è in “dispotismo asiatico buono” e che poggia sull’“assenza della proprietà privata…chiave della pace per i popoli”. Un particolare, non secondario per noi italiani, è che ai passati Forum di Davos era ospite fisso Gianroberto Casaleggio (fondatore dell’omonima azienda che controlla i 5 Stelle): ne deriva che, su noi italiani potrebbe abbattersi la sperimentazione d’abolizione della proprietà privata. Un programma che partirebbe certamente con una modifica costituzionale: del resto l’Unione europea chiede da almeno un decennio che lo stato ponga limiti alla libertà privata in Italia (circa l’80 per cento dei cittadini italiani vivono in case di proprietà).
Ecco che i pignoramenti europei, che dovrebbero colpire i proprietari anche per minimi importi, agevolerebbero la transizione delle proprietà italiane verso un fondo immobiliare europeo. Poi la carestia e la mancanza di danaro che decollerebbero entro luglio 2021 (interruzione programmata delle catene di rifornimento) darebbero alla società la grande instabilità economica utile alla svendita dei beni ai grandi gruppi finanziari: i “compro casa” (collegati alle grandi finanziarie) stanno affacciandosi al mercato insieme ai “compro oro”. Di fatto, i potenti della terra stanno riportando l’orologio della storia al tempo di sumeri, babilonesi ed egiziani pre-ellenistici: quindi a prima che il diritto romano desse certezza alla proprietà privata. Quest’ultima garantiva la libertà dei cittadini, la loro non sudditanza verso un unico padrone, era meritocratica perché costruita da colui che lavorava e risparmiava. Ecco perché lo scrivente condivide le parole (e l’appello) di Maurizio Blondet: “Ciò che viene venduto al pubblico come promessa di uguaglianza e sostenibilità ecologica è in realtà un brutale assalto alla dignità umana e alla libertà”.
Del resto, il discorso di buon anno di Angela Merkel non lascia spazio a fraintendimenti: la potente tedesca ha detto che necessita colpire giudiziariamente i pensatori complottisti, istituendo un reato europeo di negazionismo che permetta di punire chi critica verità processuali, giudiziarie, finanziarie e scientifiche. La proprietà privata, ed il lavoro libero ed individuale, danno all’uomo libertà e lo sottraggono all’omologazione ordinata dai potenti. L’Occidente sta accettando supinamente una dittatura da cui è difficile sortire, perché sicurezza informatica, forze di polizia (eserciti e security di multinazionali), magistratura e governi sono illuminati dai potenti di Davos. Ed i potenti gestiscono il potere come la propria fattoria, parafrasando il dittatore paraguaiano Alfredo Stroessner: in Paraguay le forze dell’ordine giuravano fedeltà al potere. Quest’ultima è consuetudine in tutte le multinazionali, le stesse che oggi stanno subentrando al controllo degli stati democratici.
di Ruggiero Capone