Mes, Tremonti: “Un mostro nell’allegato e nell’articolato”

mercoledì 9 dicembre 2020


“Oggi per il Mes si prevedono tre applicazioni: Salva-Stati, Salva-banche, Salva-Covid. In Italia si è discusso soprattutto su questa terza opzione, si è auspicata la seconda e il Governo ha pensato che fosse possibile ignorare la prima. E questo è stato ed è illogico, perché tutto dipende proprio dal Salva-Stati”. Così il professor Giulio Tremonti, che in una intervista pubblicata sul quotidiano Libero ha espresso il suo pensiero sul Meccanismo europeo di stabilità. Con una postilla sul voto: “Come dicono gli inglesi, fare previsioni, soprattutto se hanno per oggetto il futuro, è difficile. Il Governo non cade, la legge che lo regge non è quella di gravità, ma quella di inerzia. Se non cade il Governo, cade ancora più in basso la credibilità dell’Italia, con un premier che, artefice e vittima di se stesso, volteggia come un acrobata sul suo circo: vota su di un Trattato ma dice che ne vuole un altro, niente male per il leader di un Paese (che è stato) fondatore”.

L’ex ministro poi è entrato nel dettaglio del Mes: “L’idea di un nuovo Trattato è giusta. È questo che si va a votare che è sbagliato”. Cioè: “Si dice che il diavolo sta nei dettagli. Nel caso del Mes il diavolo o, meglio, il mostro di Frankenstein sta nell’articolato e nell’allegato, in specie nell’articolo 3 e nell’Allegato III, negli obiettivi e nei criteri che sono assegnati al Mes”. Poi ha ricordato: “Nella primavera del 2008 nel Regno Unito i risparmiatori facevano la coda agli sportelli della loro banca fiduciaria Northern Rock per ritirare i loro risparmi. Londra aveva varato un suo salva banche e l’Ue si accingeva a varare una procedura per impedirlo, dato che l'intervento dello Stato era considerata un'eccezione vietata rispetto al mercato. Tornato in Eurogruppo Ecofin, rappresentante di un Governo che nel suo programma elettorale scritto in marzo aveva previsto l’arrivo di una crisi globale, feci notare l’errore: quella che consideravano una prassi eccezionale da vietare sarebbe diventata una regola necessaria da applicare. E così fu in autunno quando arrivò la tempesta con Lehman Brothers”. A tal proposito, Tremonti ha evidenziato: “Scrissi alla Presidenza europea di turno, a Christine Lagarde, una lettera poi divenuta pubblica nella quale si facevano notare due dati essenziali. Primo: nel Trattato Ue non c’era la parola crisi intesa come rottura di sistema, come cambio di paradigma. Il Trattato era concepito e scritto solo in termini positivi e progressivi ma gli accordi internazionali sono come i matrimoni, devono reggere nella buona e nella cattiva sorte, che non era prevista ma stava arrivando”. Oltre a scrivere che per gestire la crisi all’Europa sarebbe servito un Fondo “anzi, ricordo che parlai di più fondi”. Sul tema nell’Eurogruppo la discussione fu “appassionata. Allora non era ancora possibile modificare il Trattato, ma un Fondo fu comunque costituito con uno strumento giuridico privatistico extra trattato. Il fondo fu incorporato più o meno come un hedge fund con sede in Lussemburgo; la sede che c'è ancora”.

Tornando al Mes, Tremonti ha dichiarato: “Basta leggere il Trattato. Articolo 3 e Allegato III. Qui si attribuisce alla struttura del Mes la seguente funzione “se necessario per prepararsi internamente a poter svolgere adeguatamente e con tempestività i compiti attribuitigli il Mes può seguire e valutare la situazione macroeconomica e finanziaria dei Paesi membri, compresa la sostenibilità del debito pubblico, e analizzare le informazioni e i dati pertinenti”. Non solo: “Nell’Allegato III si dispone “in ordine ai parametri quantitativi di bilancio”. Ma questi sono scritti riprendendo i numeri del Trattato di Maastricht: 3 per cento sul deficit, 60 per cento sul debito. Considerando che si vota dopo che è stato sospeso il Trattato di Maastricht, è grottesco, ma non casuale, bensì intenzionale, il fatto che quei numeri, sospesi in generale, siano ripresi e debbano essere votati specificamente al servizio di questa opzione”.

Infine, una nota sulla patrimoniale: “E di quanto dovrebbe essere? Di 100 miliardi? Fanno più o meno 5 o 6 punti di debito in meno. Di duecento miliardi? Fanno 10 punti di debito in meno. Sui mercati sono numeri irrilevanti, per gli italiani sono numeri devastanti: salterebbero i “Ratios” su cui si fondano i bilanci delle banche e delle assicurazioni. Se c’è un modo sicuro per avviare una recessione e impoverire i risparmiatori, è proprio questo. E poi il patrimonio degli italiani non è fatto solo da liquidità. Se la patrimoniale colpisce gli immobili, li deprezza sul mercato e li rende invendibili. Significa che l’imposta patrimoniale verrebbe pagata vendendo porte e finestre di casa. La patrimoniale ricorda una delle leggi sulla stupidità umana: lo stupido fa male agli altri senza fare bene a sé stesso”. Con una soluzione: “Due pilastri: la Banca centrale europea finché c’è, e il risparmio degli italiani, che è ancora pari al 70 per cento del debito pubblico. Se non si parlasse di patrimoniale e ci fosse un Governo capace di raccogliere la fiducia degli italiani, potrebbe essere ripetuta l’esperienza del grande prestito nazionale lanciato nel dopoguerra. Su questo Palmiro Togliatti, Guardasigilli nel governo ebbe a scrivere Il prestito darà lavoro agli operai, gli operai ricostruiranno l’Italia”.


di Redazione