La riforma tributaria 2020: carcere e “povertà sostenibile”

venerdì 19 giugno 2020


Il decreto fiscale 2020 ha occupato il suo spazio nella vetrina degli Stati generali: spacciato come vero bazooka tributario dell’attuale Esecutivo, di fatto obbedisce alle richieste di rigore fiscale contro gli italiani nei desiderata di Germania, Olanda, Danimarca, Austria e Paesi scandinavi.

La vera novità è la reintroduzione, e dopo quasi cent’anni, del carcere per chi si macchia d’incapienza fiscale. Ovvero, non chi omette una dichiarazione dei redditi, ma chi, pur riconoscendo debiti verso erario e grandi società pubbliche, non dispone delle somme per saldare il dovuto nei tempi prescritti. O peggio, chi a cospetto di un atto ingiuntivo non dispone di beni né di disponibilità finanziaria.

Nei primi anni del Novecento in quasi tutto l’Occidente era stato abolito il carcere per gli indigenti con debiti verso pubbliche amministrazioni e privati: il decreto fiscale reintroduce la carcerazione, questo non dovrebbe escludere la semilibertà per consentire che i condannati paghino il debito lavorando presso cantieri pubblici e municipalizzate. Detto in soldoni, torna il carcere per chi non può pagare le tasse. Di fatto il decreto fiscale abbassa la soglia di punibilità per l’evasione fiscale (che ora può prescindere dalla somma evasa) ed aumenta la pena anche per i piccoli evasori, ovvero chi per vivere fa qualsivoglia lavoretto abusivamente. La filosofia del nuovo decreto parte dal concetto che chiunque è un evasore, e permette ai Comuni d’inserirsi con un piede pesante nelle intercettazioni e nelle confische.

Questa riforma, già definita dal premier Giuseppe Conte “priorità della nuova legge di bilancio per il 2020”, abbassa la soglia di punibilità e aumenta le pene detentive per gli evasori, per consentire che s’aprano le porte del carcere a tutti coloro che sono nell’impossibilità economica di pagare le tasse. La riforma è stata caldeggiata dall’Ue poiché le statistiche avrebbero dimostrato che più l’italiano ha reddito basso, più sarebbe incline al reato tributario.

Ovviamente le soglie di punibilità riguardano tutti, dal ciabattino di paese ad imprese e professionisti. E sarà più facile commettere un reato, e basterà un errore formale nella dichiarazione dei redditi per finire nel registro degli indagati. Per le imprese il reato di omesso versamento di ritenute dovute (o certificate) scende da 150mila a “soli” 50mila euro. Mentre il reato di dichiarazione infedele passa da 150mila a 100mila euro. L’omesso versamento dell’Iva scende da 250mila a 100mila euro. Nella bozza del decreto legge (collegato alla manovra di bilancio) si scrive che sarà più semplice finire in galera per il combinato disposto d’abbassamento delle soglie di punibilità e innalzamento delle pene: queste ultime davvero dure. Esempio classico è la dichiarazione fraudolenta mediante fatture (documentazione per operazioni inesistenti), che passa da un minimo di un anno e mezzo ad un massimo di sei anni (quella finora in vigore), da un minimo di quattro ad un massimo di otto anni. Di fatto per motivi fiscali (anche minimi) non è più eludibile il carcere. Del resto il Guardasigilli Alfonso Bonafede ha detto qualche mese fa che, circa un milione d’italiani dovrebbero stare in carcere ma il sistema non garantisce la detenzione: a quell’incontro c’era un noto magistrato del pool di Milano che ha ispirato i 5 Stelle nell’abolizione della prescrizione, ed il togato annuiva. Non è certo un mistero che il ministro Bonafede intenda riaprire i bagni penali nelle isole per garantire la massima carcerazione degli italiani, ed in barba al decreto “svuota carceri”. Ma anche la “dichiarazione infedele” vede ritocchi in forte rialzo: fino ad oggi punita da uno a tre anni, sale da un minimo di due fino a cinque. Mentre l’omessa dichiarazione dei redditi (ieri un anno e sei mesi con massimo di quattro anni) passa a pena detentiva da due a sei anni. Pene pesanti per occultamento e distruzione di documenti contabili: attualmente da un anno e sei mesi a sei anni, sale da un minimo di tre fino ad un massimo di sette. Il nuovo decreto per i reati tributari consentirà alla giustizia di sottoporre ad intercettazioni tutti i sospettati d’evasione: le forze dell’ordine avranno maggiore discrezionalità nell’intercettare le conversazioni degli indagati, per il concetto che ogni dialogo può serbare un affare ed un passaggio di soldi. Quindi lo Stato potrà procedere alla confisca dei beni in misura sproporzionata nei casi di condanna penale per evasione di imposte sui redditi e Iva: sproporzione che prevede, su condanne per 50mila euro evasi, la possibilità di confisca dell’intero patrimonio del condannato, indipendentemente dal valore dei beni (da 50mila la confisca supererà i milioni di euro).

Da settembre gli italiani potranno finire tra le sbarre senza necessariamente essere grandi evasori, e perché le nuove pene prevedono minimi molto alti. E non varrà nemmeno il poter confidare nella sospensione condizionale della pena: poiché la detenzione minima ottenuta col patteggiamento sarà superiore al limite che consente sospensioni e pene alternative. Obiettivo della riforma è punire i tanti piccoli evasori più severamente degli spacciatori di droga. Nel mirino del fisco ci saranno ora tutti i cittadini, dagli incapienti (i cosiddetti poveri) sino a chi si separa per sfuggire a debiti e fisco: per questi ultimi sono previste pene sino ad otto anni di reclusione. Nel mirino dei Comuni saranno i tantissimi che vivono senza riuscire a giustificare fiscalmente come riescano a pagare bollette d’utenze, fitti, mutui e spesa quotidiana: l’indagine scatterà se l’incapiente risulterà proprietario della casa che abita, o anche solo d’una vecchia auto a cui paga regolarmente assicurazione e bollo.

Alle polizie locali sarà permesso trarre con più semplicità in arresto chi colto abusivamente in lavori di falegnameria, officina, edilizia. Allora come si fa a non sbagliare? Il consiglio vile e camaleontico guarda al divano (vecchio e bucato), al lasciarsi andare nell’indigenza, al cadere al suolo a tasche vuote. Perché solo chi è veramente povero non avrà nulla da temere, almeno finché c’è questa politica. Se qualcuno cercasse di lavorare, vale la pena ricordare che non è il cittadino che decide in quale campo spendere le proprie energie, ma c’è un burocrate pronto (si fa per dire) a negarci o meno di fare un lavoro. Un burocrate che si consulterà col navigator... e stiamo a posto così.

 


di Ruggiero Capone