Perché il piano “Merkron” non salverà l’Europa

mercoledì 3 giugno 2020


Jean Monnet, uno dei padri fondatori dell’Unione europea disse: “Le crisi forgeranno l’Europa”. Che illusione! A ogni crisi, fra i membri dell’Unione, sono aumentate divisioni, tensioni politiche e risentimenti. A partire dal 2008, le divergenze cominciarono a verificarsi soprattutto tra Germania, Francia, Italia e Grecia. La Germania stava andando relativamente bene, la Francia se la cavava appena, l’Italia cominciava a preoccupare mentre la Grecia sprofondava a livelli di terzo mondo. Ogni crisi metteva in luce le debolezze dell’unione ma la risposta dell’Unione europea era sempre la stessa: “Più Europa”, sperando di stimolare più coesione per conquistare l’agognata meta di un governo federale. Dopo l’uscita della Gran Bretagna la speranza ha cominciato a vacillare. Ma la Brexit non è stata che una passeggiata nel parco in confronto a quest’ultima crisi del Coronavirus che, più di tutte le precedenti, ha accentuato le divergenze nell’unione, fino a farne temere la definitiva disintegrazione.

Ma ecco che è arrivato, come sempre in extremis, un nuovo piano di salvataggio, il Recovery Fund, questa volta ideato dalla coppia Angela Merkel-Emmanuel Macron che ha riacceso le speranze di un rilancio alla grande dell’unione. La novità del piano “Merkron” consiste nell’emissione congiunta del debito europeo su scala mai vista prima d’ora per distribuire sovvenzioni per 500 miliardi di euro e 250 di prestiti. Il piano segna un importante cambiamento rispetto al passato, in quanto il fondo sarebbe finanziato, da obbligazioni a lunga scadenza emesse, questa volta, direttamente dalla Ue a proprio nome anziché separatamente dai governi. Insomma, si tratterebbe di un indebitamento comune garantito congiuntamente come fossero Eurobond con il rimborso dei titoli spettante alla Commissione europea e non ai singoli paesi. Il ricavato dell’emissione della Ue raccolto nei mercati finanziari tra il 2021 e il 2024 dovrebbe essere destinato, per la maggior parte a Italia e Spagna, i paesi più colpiti dalla pandemia. L’accordo deve ancora essere approvato da tutti i membri europei.

Quali sono gli obiettivi del piano che, per segnare la svolta, è stato denominato Next generation Eu? Riguardano il supporto agli investimenti e alle riforme che gli stati membri devono realizzare per rilanciare la crescita; riguarda gli incentivi agli investimenti privati, gli aiuti alle aziende in difficoltà e gli investimenti per la prevenzione delle epidemie. In breve, il Recovey Fund sarebbe dunque un fondo emergenziale per sostenere la ripartenza europea dopo la pandemia. Ma nessuno degli obiettivi sarà raggiunto perché esaminandolo con occhi disincantati, il piano non solo risulta inefficiente ma rischia pure di essere controproducente e mettere ancora una volta a dura prova le relazioni tra gli Stati membri.

Il primo problema, infatti, è che dal punto di vista dell’emergenza il piano ha già fallito in quanto la tempistica dell’erogazione dei fondi è distribuita su qualche anno mentre avrebbe dovuto essere immediata. Come abbiamo già scritto, si trattava di ricostituire immediatamente i mezzi di sussistenza per prevenire fallimenti e licenziamenti di massa. E, per prevenire una depressione che sicuramente scoppierà tra breve, doveva intervenire la Banca centrale europea con immissioni di liquidità dirette sui conti dei soggetti colpiti dai lockdown per indennizzarli immediatamente. Intervenire a situazione già compromessa acutizzerà ancora di più la rabbia e disperazione delle collettività colpite. Infatti quelli che in gran parte potevano restare problemi di liquidità, si sono trasformati in problemi di insolvenza e quindi in danno definitivo.

Secondo. Il Recovery fund è insufficiente a evitare una depressione economica in quanto ammonta solo a un 3 per cento del Pil della Ue, mentre il coronavirus ha scatenato una crisi economica che falcidierà il reddito nazionale dei paesi da un 10 a un 20 percento che significa anche crollo della fiscalità e della spesa per Welfare scatenando l’ira delle popolazioni. Non tutti hanno la capacità della Germania di impegnare il 15 percento del Pil solo per evitare un danno economico permanente. La Germania è stata in grado di prevenirlo perché non schiacciata da una montagna di debiti come Italia e Spagna e qui veniamo al terzo problema.

La contrazione dei Pil nei paesi più colpiti farà salire ancora di più la necessità di indebitamento, rendendoli definitivamente insolventi, come ad esempio l’Italia. Insolvenza significherebbe default e implicherebbe altri salvataggi. Fra non molto si capirà che il sostegno all’euro, reso necessario da una crisi infinita, è assai più costoso del suo scioglimento e per i paesi forti aumenterà l’incentivo a uscirne e per quelli più deboli a restarne. Esattamente il contrario di quello accaduto fino ad oggi. Nell’ambito delle possibilità non si può escludere che nel 2021 alla fine del mandato politico di Angela Merkel, la Germania decida di uscire dall’unione monetaria.

Infine c’è un quarto problema che manca in tutte le analisi sul Coronanomics e che vanificherebbe il piano Merkron: l’impatto di una possibile crisi bancaria di cui ci sono già pronti tutti gli elementi per l’innesco. Il settore bancario di cui più volte abbiamo segnalato la debolezza è diventato ancora più fragile. I probabili punti di accensione di questa crisi bancaria che prima o poi arriverà, sono Spagna e Italia. Quando la crisi arriverà diventerà globale in un attimo, poiché l’Europa detiene la più grande concentrazione di banche di rilevanza sistemica. Non ci si illuda più sui salvataggi della Bce la cui capacità di manovra è stata ridotta dalla Corte Costituzionale tedesca.

Per tutti questi motivi l’Europa continua a rappresentare uno dei maggiori rischi potenziali di deflazione mondiale e questo è il quadro in cui sta per essere messo a punto il piano di rilancio economico senza averne i presupposti. Lungi dal forgiare l’Europa, ogni crisi ha aumentato debiti, fiscalità, regolamentazione, abbassando produttività, erodendo i redditi e soffocato gli incentivi agli investimenti privati. Ora questa voragine deflazionaria assorbirà e disperderà anche le risorse messe in campo dal Recovery Fund approfondendo la crisi. Ormai si è creato un ambiente sfavorevole e ostile a qualsiasi crescita economica ma propizio ai disordini civili e al caos politico di massa. Temiamo, purtroppo, che questo sarà lo scenario del Next generation Eu.


di Gerardo Coco