L’esigenza di una rivoluzione della moneta

lunedì 18 maggio 2020


Gli ultimi sono stati gli Stati Uniti ad annunciare che vogliono congelare il debito pubblico con la Cina, ma lo scorso anno la Cina aveva dichiarato altrettanto nei confronti del creditore statunitense.

Cina e Giappone, infatti, sono grandi detentori del debito statunitense che oltrepassata quota 21mila miliardi è al secondo posto nel mondo. Fortunatamente per il 70 per cento è in mano agli americani.

Stessa percentuale del debito italiano di cui il 70 per cento è suddiviso tra Banca d’Italia, banche, assicurazioni e fondi nazionali oltre ad un 6 per cento di piccoli risparmiatori. Il restante 30 per cento, pari a oltre 700 miliardi, è in mano a creditori esteri in particolare a banche, prima tra tutte la Bnp Paribas seguita da Credit Agricole, Deutsche Bank e dalla belga Dexia.

Anche il Giappone, primo al mondo con un debito pubblico che ha ben oltrepassato il 200 per cento del proprio Prodotto interno lordo, è esposto verso creditori esteri. Sono molti i Paesi con quote di debito pubblico in mano ad investitori nazionali piuttosto che esteri e sono quelli che esprimono un alto tasso di risparmio privato come Spagna e Belgio. Gli investitori olandesi, francesi e tedeschi invece ne detengono poco più del 40 per cento sino ad arrivare ad Austria e Finlandia con il 25 per cento.

Nel contesto della crisi mondiale dovuta al coronavirus tutte queste percentuali subiranno consistenti modifiche, basti pensare all’Italia la cui previsione più benevola prevede che il debito raggiungerà il 150 per cento del Pil. Gli Stati Uniti con quella recente immissione di 2000 miliardi, pur se non tutti conteggiati attraverso la Fed, manterranno salda la loro posizione nella classifica mondiale.

Come in occasione di ogni evento straordinario al cui esito bisogna rivedere le regole per mantenere in piedi il sistema, forse è giunto il momento in cui non è più sufficiente andare avanti con politiche monetarie areali.

Al termine della Seconda guerra mondiale gli accordi di Bretton Woods diedero vita ad un nuovo sistema di procedure che per decenni regolarono la politica monetaria internazionale. Sostanzialmente posero fine ad un sistema che caratterizzato da pratiche protezionistiche e da scarsa collaborazione tra i Paesi in materia di politica monetaria fu tra le cause del conflitto mondiale. A Bretton Woods prese vita il Fondo Monetario Internazionale con lo scopo di aiutare i Paesi in difficoltà, la Banca Mondiale e un sistema di cambi che vedeva il dollaro quale unica valuta convertibile in oro e unica valuta di riferimento per gli scambi. Il povero Keynes che anelava ad una moneta universale definita in termini oro, il bancor, non fu ascoltato.

Il sistema durò sino al 1971, logorato dall’aumento della spesa pubblica e del debito americano e il riferimento all’oro diventò un ricordo. Il debito è una costante delle politiche monetarie moderne ed è su questo strumento già utilizzato da Cavour per finanziare la guerra in Crimea che devono porre l’attenzione gli economisti tradizionalisti che si devono confrontare con quell’altro fattore che sta rivoluzionando l’economia mondiale: la criptovaluta.

È giunta l’ora, pertanto, che i convenuti della Banca dei Regolamenti Internazionali, la Banca Centrale delle Banche Centrali, riflettano sulla centralità della moneta a debito che non può più essere la sola modalità di immissione del denaro nel sistema. Il discorso va quindi ben oltre l’Eurozona.

Una nuova Bretton Woods tesa a ribaltare le attuali regole consentendo ai Paesi di emettere denaro a credito ovvero a creare banconote senza controparte debitrice, potrebbe essere il nuovo corso della politica monetaria mondiale. Un po’ in ritardo rispetto a quanto predicava Adam Smith e più di recente il nostro Federico Caffè, ma sempre in tempo.

 

 


di Ferdinando Fedi