Sos Economia, dalla depressione si salvi chi può

mercoledì 6 maggio 2020


Un fantasma si aggira nella Ue: il Salva-Stati. Tutti lo vogliono, ma nessuno ne vuole pagare i costi relativi. Sì, perché in Europa non ci sono pasti gratis: assai poco verrà erogato a fondo perduto ai Paesi più colpiti (Italia e Spagna in particolare) e costituirà solo una vetrina per i Paesi più ricchi che avranno dimostrato così la loro generosità. Tutto il resto, Qe-bis, Recovery fund, etc., saranno tutte operazioni di prestiti a tasso molto basso. Nessun regalo, dunque. E l’Italia? Come al solito, il suo riflesso anti industriale (oggi più forte che mai con i Cinque Stelle e la parte più nostalgica del Partito Democratico al governo, restii a… fare favori ai padroni) va verso un cupio dissolvi della capacità programmatica dello Stato, intenta com’è a devastare il bilancio pubblico senza nutrire selettivamente quelle attività imprenditoriali sane, che sole possono dare ossigeno a un Paese che rischia di uscire distrutto dal post-Covid. Eppure, con una mossa del cavallo dei poteri d’emergenza (e del fiume di denaro che lo accompagna…) da subito potrebbe essere dichiarato Re l’imperativo dello smart working per i pubblici impiegati, destinando opportune risorse alla creazione dei fascicoli digitali degli archivi correnti, coniugati con il licenziamento in massa di dirigenti incapaci, sostituendoli con giovani innovativi che sanno bene che cos’è una programmazione per risultati. Infatti, ciascun smart worker deve avere assegnati chiari obiettivi di risultato sui quali confrontarsi, in cambio dell’assoluta libertà personale di movimento nel conseguirli.

I nostri politici facciano un salto di fantasia e immaginino come tutto ciò svuoterebbe metropoli congestionate a causa del Nulla amministrativo che incombe: milioni di persone perdono miliardi di ore di lavoro in file massacranti per stare dietro alle follie procedurali della burocrazia, quando qualsiasi atto di cui necessitano i cittadini contribuenti potrebbe essere confezionato in remoto, con assolute garanzie di qualità e di tempestività. Purché a tutti i cittadini che rivendichino accesso diretto alle prestazioni della Pubblica amministrazione venga fatto obbligo di dotarsi di una pec di posta elettronica certificata che, però, lo Stato potrebbe fornire loro fin dalla nascita, come si fa per il codice fiscale. Così, tutto diventerebbe tracciabile, emergendo ogni azione alla luce del sole, in modo da eliminare livelli di intermediazione non necessari e azzerando per di più clientele e camarille varie. Così facendo, lo Stato non dovrebbe più spendere una fortuna ogni anno per dotare le sue decine di migliaia di uffici pubblici di tutti i beni strumentali e dei servizi accessori necessari. Basterebbe defiscalizzare il lavoro in smart working degli impiegati pubblici, che si doterebbero autonomamente in tal modo di tutto ciò che è essenziale per lo svolgimento del proprio lavoro.

Il secondo punto da trattare riguarda poi il “che fare?” per il rilancio della ripresa con particolare riguardo alle grandi opere infrastrutturali. Qui, da subito occorre muoverci su due piani: il primo europeo; il secondo nazionale. Invece di blaterare a vanvera di fantomatici e irrealizzabili Piani Marshall, occorre concepire una strategia a medio termine estremamente ambiziosa, contrapponendo alla Belt&Road Initiative di Pechino una visione strategica che contempli una grande e analoga superinfrastruttura fisica e digitale che vada dalla catena montuosa del sistema centrale iberico di Spagna e Portogallo fino agli Urali, coinvolgendo in pieno la Russia continentale attuale. Per i compiti di sviluppo va individuato un Fondo europeo ad hoc con una dotazione di qualche migliaio di miliardi di euro. Compito di questo contenitore progettuale è quello di realizzare grandi vie di terra e di mare e autostrade digitali, con il potenziamento dei porti continentali e la costruzione rapida di strade ferrate ad alta velocità che eliminino tutto il trasporto intereuropeo su gomma, lento e costoso. Serve soprattutto una Agenzia comunitaria di R&D, research and development, che metta a fattor comune le migliori risorse scientifiche e intellettuali dell’Unione, in modo da sfidare l’Asia sul 5G e sulle tecnologie informatiche ad alto contenuto di know-how. Ma serve, innanzitutto, una ferrea volontà politica comunitaria per riportare in patria le produzioni strategiche delocalizzate in Cina, ricorrendo a un’ampia defiscalizzazione del lavoro e dei profitti, attraverso l’erogazione di aiuti di Stato ripartiti secondo le priorità indicate in un programma ad hoc del Consiglio europeo.


di Maurizio Guaitoli