martedì 28 aprile 2020
Dalla relazione del Documento di economia e finanza del 2019 avremmo avuto pre-Covid-19 una spesa per interessi nel 2020 di 66 miliardi e nel 2021 di circa 70 miliardi. Il Pil 2019 è stato circa di 1.800 miliardi e la pressione fiscale del 42,6 per cento. Il rapporto Debito-Pil 2019 è di circa il 135 per cento ed il debito a valore nominale oggi è pari a 2.430 miliardi. Ipotizzando nella nostra analisi una diminuzione del Pil su base annua del 6 per cento ed un costo della crisi di circa 300 miliardi per lo stato (circa 90 nei 2 decreti di aprile e ulteriori 200 miliardi di finanziamenti vari provenienti dalle diverse fonti Ue oggi in discussione). Per l’anno in corso lo Stato, se si dovessero avverare li ipotesi di cui sopra, avrà una diminuzione delle entrate di circa 26,44 miliardi ed un aumento dei costi per interessi sul debito di circa 3,6 miliardi nel 2020 e ulteriori 4,4 nel 2021 passando dai 70 preventivati nel Def 2019 1i 78 miliardi del 2021.
Partendo da tali ipotesi ad oggi molto concrete possiamo concludere che: Una crescita del Pil nel 2021 del 5 per cento non sarebbe certo sufficiente a sterilizzare le perdite del 2020 e porterebbe rapporto Debito-Pil al 162 per cento rendendo la spesa per interessi molto difficile per le nostre finanze in termini di sostenibilità e cioè senza un ulteriore avanzo primario in termini assoluti molto maggiore di quello degli anni precedenti. Dunque giusto discutere su come finanziarsi ma sarebbe serio incominciare a discutere di come trasformare il nostro paese, poiché se non saremmo liberati da lacci e laccioli, le nostre potenzialità di crescita saranno estremamente limitate, come è stato in questi ultimi anni essendo il fanalino di coda nella euro zona. Per quanto ad oggi è molto difficile avere una visione di medio periodo, se non si fanno riforme strutturali dal lato del fisco e della burocrazia e politiche di investimenti produttivi, il futuro non sarà roseo. Non saremo commissariati ora ma lo saremo nel 2022.
Affrontare questa situazione con la miope speranza di ragionare sui risparmi degli italiani (altro che sommossa sociale) o con la solita incapacità di affrontare seriamente tutte le problematiche che stanno da tempo incatenando l’economia del nostro Paese sarebbe delittuoso. Il tema non è come indebitarsi ma come riaccendere la nostra economia. Un dibattito ad oggi ancora inesistente nell’agenda politica, l’unica strada di buon senso è cogliere questo momento per finalmente riformare la funzionalità del nostro Stato. Oltre a queste commissioni d’urgenza nate per spiegarci cosa fare nel brevissimo (come porre in essere la fase 2) è necessario creare politiche che abbiano una visione. Una vera visione del Paese.
In poche parole quali sono i settori strategici su cui investire e fare politiche economiche e fiscali che siano di supporto a queste scelte strategiche. Internalizzazione, green economy, giacimenti culturali e turismo, filiera alimentare e scelte di politica industriale che guardino al futuro, realizzando alleanze societarie e internazionali, in poche parole sapere qual è la nostra collocazione geopolitica e geo-economica nel mondo. Per questo si vuole stimolare una strada, una via di operare che visto i numeri rappresenta forse la vera via d’uscita:
1) Una Costituente che matte mano alla stessa senza stravolgerla tutelando naturalmente tutti i diritti fondamentali ma che sia più efficiente nel processo decisionale (vedi rapporto Stato-Regioni o la semplificazione nel processo di formazioni delle legge, elezione diretta del premier o del presidente della Repubblica, legge elettorale a doppio turno alla francese primo turno proporzionale puro e secondo accordi di maggioranza).
2) Una riforma della giustizia civile e penale, ormai da troppo tempo evocata, non ideologica ma coraggiosa, che elimini il Csm e lo sostituisca con un organismo scelto a sorteggio tra i cittadini come avviene per i giudici popolari e una parte nominata dai partiti tra figure emerite dell’università e del mondo dell’avvocatura.
3) Un accordo preventivo con il fisco per il pagamento delle tasse per il triennio successivo. In tal modo lo stato ed il contribuente sapranno quale sono i loro impegni. Le imprese che aderiranno a tale accordo potranno essere esentate da controlli fiscali e gli stessi controllori potranno rivolgere le loro risorse verso un controllo che miri a presidiare il territorio e che non si basi esclusivamente sul controllo del dichiarato.
4) Una pacificazione fiscale con il passato. Non si può ripartire da questo shock senza riazzerare il pregresso.
5) Nuova liberalizzazione delle attività: sburocratizzare e abolizione dell’Anc immettere nella Pubblica amministrazione controlli esterni su coloro che hanno potere di firma o di decisione sui loro patrimoni personali e famigliari.
6) Far ripartire il volano dell’edilizia.
La sostanza è che dobbiamo mettere il paese nelle condizione, per gli anni avvenire di crescere non più la metà di tutti i sui concorrenti europei, quando le cose vanno bene ma in modo costante realizzando un nuova rinascita economica che sia da stimolo e da traino allo stesso processo di integrazione europea. Se non riusciamo a fare questo non basterà trovare i soldi per la ripartenza perché dal 2022 vi sarà una lenta agonia verso un vero shock sociale e finanziario. Ne dobbiamo uscire diversi e migliori. Non basterà trovare le risorse e senza alcun cambiamento strutturale altrimenti questa volta non ne usciremo.
di Massimiliano Napoletano