L’Euro: moneta unica salvavita o veleno?

martedì 28 marzo 2017


A quindici anni di distanza dal giorno della resa della Lira, e a poche ore dall’anniversario dei sessant’anni dei Trattati di Roma, è lecito chiedersi: cui prodest?

Quesito a risposta immediata: alla Germania dell’Euromarco; ovvero la Nazione che ha messo a segno la più eclatante rivincita dopo due guerre mondiali perdute (e iniziate per colpa solo sua!). Poiché è noto che del “Se (dubitativo) son piene le fosse”, allora conviene fare ricorso a uno strumento meno opinabile: quello delle proiezioni statistiche ed economiche. Semplificandole attraverso un ragionamento prettamente politico, che funziona più o meno come segue. Prima del funerale della Lira l’economia italiana viaggiava a ritmi decenti, creando un discreto valore aggiunto, testimoniato dalla costante crescita del Pil nazionale. Tutto questo grazie alle svalutazioni competitive e al fatto che le imprese manifatturiere non delocalizzavano, malgrado che il costo del lavoro fosse un po’ più elevato qui da noi rispetto agli altri concorrenti. Indovinate di chi eravamo lo spauracchio? Ma di Berlino, naturalmente. All’epoca avevamo un volume di depositi bancari per risparmio delle famiglie ben superiori a quelli della media europea.

Quindi, bisognava in assoluto abbattere quella nostra concorrenza (certo un po’ sleale, dettata dall’istinto di sopravvivenza, che ci caratterizzava negativamente per l’elevato tasso di evasione fiscale e per le produzioni in “nero”), falcidiando attraverso il raddoppio dei prezzi al consumo il potere di acquisto delle famiglie italiane, per depredarle di almeno il 50 per cento dei loro risparmi, imprimendo per di più un’impennata irreversibile al costo unitario del lavoro. Le mosse per distruggere l’economia italiana furono sostanzialmente due: il cambio suicida Lira/Euro e l’introduzione dei paletti di Maastricht sui vincoli di bilancio, per cui oltre alla politica monetaria anche tutto il resto della spesa pubblica transitava sotto il controllo di Bruxelles e dei grandi gruppi finanziari che speculano sul debito sovrano. Il mancato mantenimento del regime del doppio prezzo o, ancora meglio, quello della doppia circolazione per un periodo congruo di tempo (cinque anni almeno) tra Lira ed Euro, ha fatto sì che in pochissimo tempo non solo i prezzi dell’agroalimentare salissero alle stelle, ma che gli italiani si indebitassero nel nuovo Euro (quindi: al doppio di quanto sarebbe loro occorso in lire fino al 2001!) per l’acquisto di immobili.

Incredibilmente, come ho già avuto modo di far notare più volte, l’Istat non registrò “mai” il raddoppio letterale dei prezzi di vendita delle case a soli pochi mesi dall’introduzione dell’Euro! Invece, tutti i salari a importo fisso restarono rigorosamente fermi, convertiti fino al centesimo in Euro, mentre l’impennata di tutti i parametri del nuovo indebitamento delle famiglie facevano sì che quanto era stato risparmiato per l’acquisto di una casa fosse letteralmente falcidiato della metà del suo valore! Sommando a questo profilo suicida anche l’assurdo arricchimento di chi, avendo acquistato o investito in immobili residenziali prima del 2002, si era trovato il loro valore raddoppiato senza assolutamente rischiare nulla! Un’ingiustizia sociale che grida vendetta e della quale, oggi, scontiamo tutti i perversi effetti. Chi, dal 2002, padre, nonno, zio o parente, ha dovuto comprare una casa ai propri giovani congiunti si è trovato o con il patrimonio dimezzato o con un debito raddoppiato rispetto ai prezzi in lire del 2001. Quindi, fatti beni i conti, agli investimenti delle famiglie per altri acquisti, studi e mantenimento dei figli sono venute a mancare dal 2002 a oggi molte centinaia di miliardi di euro!

Ma non è finita qui. La progressiva introduzione di vincoli sempre più stringenti sulla solvibilità bancaria e sulle condizioni di prestito ai privati ha provocato una moria terrificante di piccole-medie imprese e di quelle a conduzione familiare. Morale della favola: se avessimo conservato la Lira, avremmo continuato molto probabilmente a crescere e a mantenere quantomeno i nostri margini di produttività, incamerando solo un po’ più di inflazione proprio a causa dell’Euro.

Ora, accettato il punto di vista di chi dice che con la moneta unica l’Italia abbia risparmiato in questi anni 700 miliardi di interessi sul nostro debito pubblico, mi chiedo: se ne fossimo rimasti fuori, fatti quattro conti, quanto di questa cifra avremmo potuto compensare se avessimo mantenuto i nostri tassi (che davano così tanto fastidio ai tedeschi!) di crescita industriale e produttiva, con il relativo sostegno dei pregressi livelli occupazionali? A mio avviso ne avremmo guadagnato di molto. Soprattutto mantenendoci le mani libere in materia di bilancio, visto che chi è salvato ha preferito Keynes all’Austerity! Vedi Obama/Trump!


di Maurizio Bonanni