Tlc “alla francese”: 5mila tagli per Sfr

giovedì 11 agosto 2016


In una Francia che nel secondo trimestre dell’anno fa registrare crescita nulla, non c’è da meravigliarsi se un colosso come Sfr (Société Française du Radiotéléphone), il secondo più importante operatore di telefonia mobile dopo Orange, ha deciso di sopprimere nei prossimi 2 anni un terzo della sua forza lavoro. Un mega-taglio di 5mila posti, con l’obiettivo di portare il numero dei dipendenti dagli attuali 14.300 a 9mila. Tutte uscite volontarie, ha assicurato l’azienda a Cfdt, Cgt e Unsa, e soprattutto “nessun licenziamento fino al 2019”.

A prescindere da come finirà, si tratta di un’altra bella grana per la presidenza Hollande. Il confronto sugli esuberi (che dovrebbero scattare dal 1 luglio 2017), infatti, inizierà in autunno, alla vigilia dell’avvio di una campagna elettorale che tra terrorismo e tensioni sociali sembra annunciare una fase ancora più angosciante per la qualità della vita del popolo francese. I tagli erano nell’aria già da qualche settimana. E non solo per certi segnali inviati da settori del management, ma soprattutto per alcune esplicite considerazioni mosse da pezzi grossi come Patrick Drahi, il principale azionista di Sfr.

“Tutti i nostri concorrenti hanno licenziato pesantemente, mentre noi abbiamo garantito ancora l’occupazione per tre anni, in un momento in cui vendiamo abbonamenti a 1 euro al mese: tutto questo non ha né capo né coda”. Nel 2014, infatti, l’azienda si era impegnata con il governo a mantenere i posti di lavoro almeno fino al 30 giugno 2017. Due anni dopo, la promessa è venuta meno, 2 anni in cui Sfr ha già dimissionato 1200 dipendenti, in un ambiance non sempre collaborativa.

La Cfdt prende atto delle cifre e afferma di non avere certezze sull’avvio del confronto con l’azienda. Il rischio, dice a “Le Monde” Isabel Lejeune-To, segretaria nazionale di Cfdt-F3C, è che se non si arriva a un’intesa con i sindacati, il management “potrà riprendersi la libertà di agire come vuole, senza alcun piano concertato con noi”, e allora i termini delle “uscite” potrebbero essere durissimi. Oppure si passerà direttamente al piano B: licenziamenti. Il piano di partenze volontarie non rassicura i rappresentanti dei lavoratori soprattutto sulle possibili ripercussioni sulla qualità dei rapporti tra direzione e dipendenti nei prossimi mesi. La grande paura dei sindacati, avvalorata del resto da quanto è accaduto proprio negli ultimi 2 anni in azienda, e che possa ripetersi un’altra France Telecom: metodi di gestione brutali, clima professionale ansiogeno, demansionamenti selvaggi, pressioni sui dipendenti; insomma, in una parola, quel mobbing che secondo gli inquirenti parigini sarebbe stata la causa di 60 suicidi in 3 anni. La Cgt, infatti, già mette le mani avanti. Come possiamo davvero fidarci della promessa che non ci saranno licenziamenti fino al 2019, quando negli ultimi 18 mesi hanno già mandato a casa 1200 persone?, si chiedono i delegati della Confédération générale du travail. E poi, rilevano i dirigenti di Cgt-Fatp, “conosciamo molto bene questi piani di partenze volontarie, che per la maggior parte dei dipendenti sono in realtà uscite forzate e a condizioni umilianti”.

Secondo i sindacati, Sfr vuole chiudere la fase di consultazione e informazione entro il 25 agosto, per avviare le prime “partenze” (almeno 1000 dipendenti, secondo la Cfdt) a novembre, per evitare non solo che si arrivi a Natale nella più totale incertezza, ma soprattutto quei procedimenti giudiziari che andrebbero inevitabilmente a ritardare le uscite. Quasi una corsa contro il tempo, che secondo gli osservatori avrebbe ridato vigore all’opposizione dei sindacati, che pur nella consapevolezza della non indolore riorganizzazione stanno facendo di tutto per prendere tempo e negoziare le migliori condizioni possibili per chi perderà il lavoro.

Il caso Sfr è l’ultimo (per ora) di un lunga serie, iniziata nel 2006 proprio con France Telecom (l’attuale Orange), che conferma la crisi profonda del settore. Dieci anni fa, l’azienda lanciava un piano di ristrutturazione che prevedeva 22mila esuberi. Secondo l’Arcep (Autorité de Régulation des Communications Électroniques et des Postes), dal 2010 nell’intero comparto sono andati persi il 10 per cento dei posti di lavoro, con i ricavi che in 5 anni sono scesi da 43,5 a 35,9 miliardi di euro. Dal 2012, sono stati soppressi nelle telecomunicazioni circa 11.300 impieghi. In 10 anni, Orange ha perduto più del 20 per cento dei suoi effettivi, scendendo nel 2015 sotto la soglia simbolica dei 100mila dipendenti. L’arrivo di Free, quarto operatore mobile dopo Orange, Sfr e Bouygues Telecom, e che in 5 anni ha più che raddoppiato i suoi dipendenti (da 2500 a oltre 6mila) ha costretto quest’ultimo a una ristrutturazione che ha contemplato 600 partenze volontarie nel 2012 e altri 1400 tagli nel 2013.


di Pierpaolo Arzilla